È passato solo un anno da quando le forze internazionali hanno lasciato l’Afghanistan. I riflettori si sono spenti e tutto sembra di nuovo molto, molto lontano. I talebani hanno ripreso il controllo del Paese. Miliardi di dollari in aiuti internazionali sono stati annullati, le riserve di valuta estera dell’Afghanistan sono state congelate e il sistema bancario è crollato.
A un anno di distanza da tutto questo – e con il pensiero a un altro anniversario, quello della morte di Gino Strada che all’Afghanistan ha dato tanto – sfoglio l’ultimo report di Save the Children, “Punto di rottura: la vita per i bambini a un anno dalla presa di controllo dei talebani”, basato su interviste e focus group con bambini, adolescenti, adulti di riferimento.
Questa attenzione a dare la parola ai fanciulli perché siano loro stessi a raccontare quello che stanno vivendo è un’attenzione ancora troppo marginale nella nostra società ed è, invece, molto presente nell’agire di Save the Children, un aspetto che dà ulteriore valore ai loro report. In questo caso, nel giugno scorso sono stati interpellati in diversa forma 240 tra ragazzi e ragazze di età compresa tra 9 e 17 anni, 1.450 bambini e 1.450 caregiver nelle province di Balkh, Faryab, Sar-e-Pul, Jawzjan, Kabul, Nangarhar e Kandahar.
La crisi economica e la peggiore siccità degli ultimi 30 anni hanno gettato definitivamente la popolazione nella povertà e chi più ne fa le spese sono i bambini. Il 97% delle famiglie afghane sta cercando disperatamente di procurarsi cibo a sufficienza per sfamare i propri figli e quasi l’80% dei bambini ha dichiarato di essere andato a letto affamato negli ultimi 30 giorni.
Le più colpite sono le bambine e le ragazze: escluse quasi totalmente dalla società, più esposte alla fame, un quarto di loro mostra segni di depressione. Quasi tutte hanno affermato che i loro pasti sono diminuiti nell’ultimo anno e non hanno sufficienti energie per studiare, giocare o lavorare. Inoltre, secondo le interviste ai loro adulti di riferimento, oltre un quarto mostra segni di depressione e di ansia (tra i ragazzi è 1 su 6).
“Ci sono giorni in cui mio padre non riesce a procurarsi del cibo”, ha raccontato Parishad, 15 anni. “I miei fratelli si svegliano nel cuore della notte e piangono per la fame. Io non mangio e conservo il cibo per i miei fratelli e sorelle. Quando i miei fratelli e le mie sorelle chiedono da mangiare, mi arrabbio e piango molto. Vado anche a casa del mio vicino e chiedo loro se hanno qualcosa da darmi. A volte mi aiutano e mi danno del cibo e a volte dicono che non hanno niente purtroppo”
Nei focus group le ragazze hanno raccontato di essere state escluse da molte delle attività che in precedenza le rendevano felici, come passare del tempo con parenti e amici o andare nei parchi o per negozi. Quasi la metà ha affermato di non frequentare la scuola (45%, contro il 20% dei ragazzi) per ragioni economiche, per l’esclusione dalle scuole secondarie imposta dai talebani a migliaia di ragazze e per corrispondere alle aspettative della comunità. Così facendo i talebani hanno annullato di fatto anni di progressi a favore della parità di genere, ed è di questi giorni l’ultima notizia arrivata fino a noi, di manifestazioni di protesta delle donne decise a non rassegnarsi per la perdita dei loro diritti. Anche le ragazze intervistate da Save the Children non si rassegnano, molte hanno raccontato di sentirsi senza speranza a proposito del loro futuro perché non hanno i diritti e le libertà che avevano in precedenza. Sono deluse e arrabbiate per il divieto di studiare.
La povertà peggiora le cose. Le famiglie cercano di reagire avviando i figli al matrimonio in età precoce, e anche questo interessa le ragazze più dei ragazzi. Tra i minori che hanno affermato di essere stati invitati a sposarsi, nell’ultimo anno, per migliorare la situazione economica familiare, l’88% erano ragazze. Per i maschi è più probabile il lavoro, occupazioni molto faticose che impediscono gli studi e costituiscono un rimedio del tutto transitorio.
“Mi piacerebbe andare a scuola”, ha detto ancora Parishad agli operatori dell’associazione. “Quando vedo le altre ragazze che vanno a scuola, vorrei poterci andare anche io. Ogni mese cambiamo casa ed è difficile per noi frequentare le lezioni. Inoltre, non abbiamo materiale scolastico e abbiamo bisogno di soldi per comprare i libri. Non posso tollerarlo, ma non posso farci niente”.
Naturalmente ha ragione non può farci niente. Altri dovrebbero intervenire. “Questa è una crisi umanitaria, ma anche una catastrofe dei diritti dei bambini”, ha affermato Chris Nyamandi, Direttore di Save the Children in Afghanistan. “La soluzione non può essere trovata solo in Afghanistan. La soluzione è nelle stanze del potere dei leader politici internazionali. Se non forniscono finanziamenti umanitari immediati, trovando un modo efficace per rilanciare il sistema bancario e sostenere l’economia in caduta libera, la vita dei bambini andrà perduta e sempre più ragazzi e ragazze perderanno la loro infanzia a causa del lavoro, dei matrimoni precoci e delle continue violazioni dei loro diritti”.
Una parte dei fondi per l’Afghanistan è stata sbloccata dalla Banca Mondiale. Molti dei fondi internazionali rimangono ancora in istituti di credito esteri o bloccati in banche internazionali. Per questa ragione Save the Children ha rilanciato una petizione per chiedere di scongelare i fondi del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale utili ad aiutare la popolazione.
(vigna di Mauro Biani)
Qui video dedicato di Save The Children Italia onlus