Bombe e accordi militari italiani continuano a favorire regimi autoritari e conflitti, mentre la trasparenza è sempre più compromessa. Una situazione inaccettabile: Rete Disarmo fa appello al Parlamento affinché ritorni ad occuparsi dell’export militare italiano per una rigorosa applicazione della legge 185/90.
Ancora bombe per i conflitti, ancora accordi militari con regimi autoritari che vanno ad infiammare le regioni di maggior tensione del pianeta. E’ questa la situazione relativa all’export militare italiano che anche le ultime notizie ci dipingono. E che, ancora una volta, danno ragione a chi come la Rete Italiana per il Disarmo esprime preoccupazione per il continuo deterioramento di trasparenza e controllo sulle vendite di armi. In pieno spregio della legge 185/90.
Nello scorso marzo quasi 5 milioni di euro di bombe sono state inviate dalla provincia di Cagliari all’Arabia Saudita nonostante la risoluzione votata con ampia maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso febbraio abbia chiesto alla Vicepresidente della Commissione ed Alto Rappresentante della Politica Estera, Federica Mogherini, di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen”.
“Dai dati forniti del registri del commercio estero dell’Istat – commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio OPAL di Brescia – risulta che lo scorso marzo è ripreso l’invio di munizionamento pesante dall’Italia all’Arabia Saudita: si tratti di quasi 123 quintali (Kg. 12.2835) di bombe per un valore di oltre 4,6 milioni di euro (€4.679.875) spedite dalla provincia di Cagliari. Simili spedizioni di bombe aeree prodotte nello stabilimento di Domusnovas in Sardegna dalla RWM Italia, azienda tedesca del gruppo Rheinmetall, sono state effettuate tra ottobre e dicembre dell’anno scorso ed erano state rese note da alcuni parlamentari sardi. Ma stavolta tutto è avvenuto nel massimo riserbo e non si può escludere un appoggio da parte del Ministero della Difesa”.
La risoluzione della scorsa primavera dell’Europarlamento nell’esprimere “grave preoccupazione per gli attacchi aerei da parte della coalizione a guida saudita e il blocco navale da essa imposto allo Yemen, che hanno causato la morte di migliaia di persone” evidenzia che queste azioni “hanno ulteriormente destabilizzato il paese, stanno distruggendo le sue infrastrutture fisiche, hanno creato un’instabilità che è stata sfruttata dalle organizzazioni terroristiche ed estremiste, quali l’ISIS/Daesh e l’AQAP, e hanno aggravato una situazione umanitaria già critica”. La risoluzione evidenzia inoltre che “alcuni Stati membri dell’UE hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l’Arabia Saudita dopo l’inizio della guerra” e afferma chiaramente che “tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali”.
“A questa risoluzione – commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il Disarmo – non è però seguita l’azione da parte dei governi. Per poter rendere effettiva la raccomandazione del Parlamento Europeo occorre infatti che uno dei Paesi membri assuma la responsabilità della sua implementazione ed attuazione. Auspichiamo e ci auguriamo che sia proprio il Governo italiano a farsi promotore di questo percorso, di conseguenza sospendendo l’invio di bombe e sistemi militari all’Arabia Saudita e a tutti i paesi che da 15 mesi stanno bombardano lo Yemen”.
Non va dimenticato che l’Italia è, tra i paesi dell’UE, uno dei maggiori fornitori di sistemi militari alle monarchie del Golfo. Lo scorso 16 giugno ad esempio è stato perfezionato con il Qatar, con presenza della Ministra della Difesa Pinotti e dagli amministratori delegati di Fincantieri e di MBDA (azienda missilistica di cui anche Finmeccanica-Leonardo fa parte), un contratto per la fornitura di mezzi navali e sistemi d’arma per circa 5 miliardidi euro. Accordo siglato con il ministro per gli Affari della Difesa Khalid bin Muhammad Al-Attiyah che poche ore dopo si è recato in visita alle truppe del suo Paese attive nel conflitto sanguinoso in Yemen. Guerra che sta seminando morte soprattutto tra i civili, in palese violazione dei principi di base della nostra legislazione sull’export di armamenti.
Tutto questo sta avvenendo proprio nei giorni della barbara uccisione della deputata laburista britannica Jo Cox, che molti politici anche italiani hanno pianto dimenticando però le sue parole sul conflitto yemenita: “Si dovrebbe usare tutta la nostra influenza (…) per rimettere la coalizione saudita dove dovrebbero stare, nella “list of shame” (lista della vergogna). (…) è tempo di smettere con le titubanze e lavorare con la comunità internazionale al fine di avviare un’inchiesta indipendente sulle presunte violazioni del diritto internazionale umanitario da parte di tutti gli attori del conflitto. Infine, il governo dovrebbe immediatamente sospendere la vendita di armi a qualsiasi delle parti che possa utilizzarle violando il diritto internazionale”.
La Relazione del governo sull’export di armi: un documento inutile per il controllo
La “Relazione sulle esportazioni di armamenti” inviata alle Camere dalla Presidenza del Consiglio lo scorso 18 aprile riporta cifre impressionanti sull’incremento delle licenze all’esportazione: nel 2015 i valori sono più che triplicati ed hanno raggiunto la cifra record dal dopoguerra di oltre 8,2 miliardi di euro (erano stati meno di 2,9 miliardi di euro nel 2014). Oltre ai “programmi di cooperazione intergovernativa” sono fortemente cresciute anche le “normali” autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari che nel 2015 sono state di quasi 4,7 miliardi di euro (€4.699.362.476).
Non è migliorata invece la trasparenza e la Relazione che da due anni viene inviata alle Camere permette di conoscere solo i valori generali delle operazioni autorizzate ad ogni singolo paese e le generiche tipologie di armamento esportati. Ma non permette di conoscere nel dettaglio gli specifici sistemi di armi esportate: in questo modo il controllo parlamentare e delle nostre associazioni sull’attività del governo è reso praticamente impossibile.
Rete Italiana per il Disarmo chiede perciò a tutti i gruppi parlamentari di attivarsi al più presto nelle commissioni competenti per compiere un ampio edattento esame della Relazione governativa e sulle operazioni autorizzate dal governo in materia di esportazione di sistemi d’armamento oltre che sugli accordi militari recentemente stipulati. La Rete Italiana per il Disarmo sta inoltre per inviare una lettera al Governo per chiedere un incontro durante il quale chiederemo risposte concrete riguardo alle proposte già avanzate lo scorso settembre al sottosegretario agli Esteri, sen. Benedetto Della Vedova.
I miliardi di guadagni dell’industria bellica nazionale non giustificano in alcun modo l’invio di armamenti a Paesi coinvolti in conflitti armati che, tra l’altro, favoriscono l’avanzamento di formazioni terroristiche e contribuiscono all’instabilità di ampie regioni con le conseguenti fughe di popolazioni che spesso sbarcano sulle nostre coste per chiedere rifugio e assistenza.
La Rete Italiana per il Disarmo sarà inoltre insieme a Fondazione Culturale Responsabilità Etica e alla Campagna Sbilanciamoci tra i co-promotori di “Le armi italiane nel mondo: destinazioni pericolose e poca trasparenza”, un momento di approfondimento (e successivo incontro con i parlamentari) in programma il 13 e 14 luglio prossimi a Roma presso la Fondazione Lelio Basso.
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