L’errore consiste nella “negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal. 41). Quando si nega questa dipendenza tra creatura e creatore, questa relazione d’amore, si rinuncia in fondo alla vera grandezza dell’uomo, al baluardo della sua libertà e dignità”. Ho molta attenzione, per quel poco che riesco e posso, alle parole di Papa Francesco. Ne ho avuto per quelle di Marx, che porta bene i suoi anni, meglio del marxismo che avrebbe ispirato. È un richiamo alla necessità della fede, “l’unica via che porta alla liberazione”.
Alla liberazione ci tengo, ma la fede non ce l’ho. Mi soccorre un libriccino, nella sua prima edizione del ’42, acquistato su una bancarella da un ginnasiale che aveva deciso di non essere più cattolico. L’ho sfasciato a forza di leggerlo in anni lontani. Del libriccino – livre de chevet di Piero Pinna – ho pure l’edizione successiva degli anni ’80, con una bella nota di Gianni Cerchia. Lo scritto è ora inserito tra gli Scritti filosofici e religiosi di Aldo Capitini, ottimamente curati da Mario Martini. Sono un centinaio di paginette nell’edizione originale, meno di quaranta nell’antologia.
In Vita religiosa, in un capitoletto intitolato Con impeto di spirito sereno, leggiamo “Sanno di morire, ma tuttavia cercano di fare il più possibile finché vivono; sanno di poter sbagliare, e perciò cercano di agire; nel suo sforzo, applicandosi alle varie attività in buona fede, con sincero desiderio del meglio, l’uomo si redime dei suoi limiti. Dante dice: ‘La fede senza qual ben far non basta’, no, basta il ‘ben fare’ (cioè avendo di mira un bene e in buona fede); l’intima attiva sincerità è l’organo della salvazione, e l’uomo col ‘ben fare’ si libera nello spirito, entra nell’infinito nel cielo intimo che guarda la realtà… Uno che esclamasse: io sono uomo, lo spirito è in me, e invece si fermasse al vanto, significherebbe meno di uno che non sapesse di essere ‘persona’, ma operasse realmente come tale, come centro di sforzo morale”.
Il libro è composto da oltre venti agili capitoli dai titolo stimolanti e capitiniani: Operare nel mondo, L’orizzonte, Conoscere, aprirsi, Il mondo della storia vivente. I miti degli inizi, Trasformazioni storiche, Con impeto di spirito sereno, Familiarità e tensione, La forma dell’intimo, Il giudizio perenne, I valori e la mia persona, Gratitudine, Al centro dell’agire sono persone, La religione come libera aggiunta, Le creature, Il divino tu, La tua felicità, Come agire su di te, L’esistenza degli altri, La vicinanza senza menzogna, Presenza religiosa dell’umanità, L’impossibilità di operare, Realtà, Dal silenzio. Sono già un potente stimolo alla riflessione. Sfoglio qualche pagina e ricordo il loro significato per me, prima di incontrare Capitini e dopo averlo incontrato.
È un libro di formazione per Silvano Balboni, collaboratore prediletto di Aldo Capitini. Ventenne legge, studia, medita, appena pubblicati, sia Elementi di un’esperienza religiosa che Vita religiosa. Nel dopoguerra, 26 gennaio 1946, scrive ad Aldo: “Il tuo libro Vita religiosa è il testo di studio adottato per i giovani nei corsi di cultura per socialisti e non socialisti che tengo in vari centri della provincia e a Ferrara, e che mi prendono una gran parte del mio tempo: siccome parlo spesso dei Cos hanno finito tutti per chiamarli Cos ma conto di trasformarli al più presto in Cos autentici. Vita religiosa trova facile diffusione perché presuppone una cultura e un livello morale del lettore più vicino alla realtà dei giovani, di quel che non suppongano gli Elementi (inoltre costa solo 20 lire mentre l’altro è venduto a 140)”.
Vedo che, quattro anni dopo la pubblicazione, il prezzo è raddoppiato, pur restando conveniente rispetto a Elementi. Noto che sono testi adatti alla discussione nello spirito dei Cos. Anche oggi una loro lettura non mi pare inutile. Debbo, come detto, a un titolo di giornale l’avere ripreso Vita religiosa. Penso che la religione, come aggiunta, possa essere un dono anche per i non credenti, come me. Ritrovo questa aggiunta anche in parole del Papa. Mi piace pensare come Capitini potrebbe utilmente discutere la religione di Papa Francesco, come ha provato a fare nei confronti di un altro Papa, per il quale non ho particolari motivi di apprezzamento, in Discuto la religione di Pio XII (1957), l’anno successivo alla messa all’Indice del suo Religione aperta (1956).