C’è un articolo apposta in questa repubblica islamica. Lo si vorrebbe vedere più ampiamente applicato. Non che manchino gli accusati e i condannati. Basta poco per esserlo, soprattutto facendo parte di una minoranza religiosa. C’è molto zelo per procurarsene, in patria e fuori. Ci sono agenti pagati per questo e non mancano i volontari, come spesso avviene per le cose più atroci.
Il trentenne Taimoor Raza, scita e non sunnita, coinvolto da un agente di polizia, sotto copertura, in un dibattito su facebook, è stato condannato a morte per aver insultato il profeta. Farà appello e si vedrà. Intanto è già un successo arrivare al processo. Spesso una folla di devoti si occupa del linciaggio di chi, a torto o a ragione, è accusato di blasfemia. E’ successo lo scorso aprile allo studente universitario Mashal Khan, presunto bestemmiatore on line. In verità è risultato che il suo torto consisteva in critiche al costo della retta e in accusa di corruzione ai dirigenti universitari. Colleghi studenti e dipendenti lo hanno gettato dal secondo piano, torturato, sparato e preso a calci il cadavere. I 25 poliziotti presenti – leggo dalla Stampa – sono intervenuti solo quando gli intraprendenti devoti si sono accinti a dare fuoco ai resti. Presumo sia stato perché con ciò si contravveniva al rituale islamico della sepoltura.
C’è chi coraggiosamente e meritoriamente in Pakistan protesta contro questi linciaggi in nome della fede. Se intanto si togliesse quell’articolo sarebbe anche meglio. Un’idea diversa della fede aveva Abdul Ghaffar Khan, buon amico di Gandhi, coerente nonviolento, per la fine del colonialismo britannico e per le riforme sociali: “ Musulmano è colui che non ferisce mai nessuno né con parole né con azioni e lavora invece per il benessere e la felicità delle creature di Dio. La fede in Dio è amore del proprio compagno”. A capo di un movimento, sorto nella zona ora tristemente nota come patria del talebani e giunto ai centomila aderenti (uomini e donne senza distinzioni), subì incarceramenti (trent’anni in carcere), persecuzioni (sette anni in esilio), ma morì quasi centenario (1890-1988). Gli aderenti al movimento così giuravano: “Sono un khudai kidmatgar (servo di Dio), e poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio. Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercare vendetta. Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà. Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici. Prometto di trattare tutti i pathan come fratelli e amici. Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali. Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male. Prometto di avere modi gentili ed una buona condotta, e di non condurre una vita pigra. Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale“. Non male.
Approfondimenti: per saperne di più su Abdul Ghaffar Khan : consiglierei almeno la visita a questo sito