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Bullismo a scuola? Meno male che è diventato cyber!

DiElena Buccoliero

Ott 11, 2018

Ascolto i commenti. Tutti a diffondersi sui rischi del telefonino e sull’importanza di avvisarne i ragazzi. Vero, ma resto perplessa. Sbagliato è certamente riprendere e far conoscere le vessazioni, ma prima ancora mi sembra sbagliato commetterle. Che un ragazzo possa ritenersi in diritto di trattare un docente a quel modo – cosa del resto già avvenuta, in tante scuole italiane, negli ultimi anni – dovrebbe suscitare qualche risposta. In effetti a Vicenza la scuola ha reagito con sanzioni diverse, l’espulsione dell’aggressore e la sospensione del cineasta, e io non so se espellere – oltre che lecito – sia anche utile ma questa valutazione sulla gravità degli atti mi trova concorde.

In un certo senso provo una certa gratitudine verso il narcisismo giovanile che spinge gli adolescenti ad immortalarsi e verso questi maledetti cellulari pluriaccessoriati che consentono agli adulti di farlo, rendendo noti agli adulti spicchi altrimenti invisibili della loro realtà. Non che il mezzo non incrementi certe voglie, ma non è tutto lì, e comunque almeno lo sappiamo. Altro che videosorveglianza, ci pensano da soli a registrare tutto quello che fanno, reato o non reato. Così poi tocca agli adulti entrare in relazione con loro – e chissà, forse è solo consolatorio pensarlo, o forse è quello che sotto sotto quei ragazzi stanno cercando.

Ricordo una terza media incontenibile di una decina d’anni fa, cioè quando il bullismo era diffuso forse ugualmente ma non era ancora diventato cyber, in una scuola dove io e una collega veniamo chiamate ad intervenire. Siamo ormai agli ultimi giorni dell’anno scolastico. Il dirigente ha deciso di interpellarci per le ripetute lamentele di due genitori che in quella classe hanno, da tre anni, una ragazzina con un handicap sensoriale ripetutamente vessata dai compagni nei modi più diversi. Tra i più crudeli psicologicamente ricordo le telefonate del gruppetto alla mamma della compagna imitando la voce, particolare, della ragazzina che, sorda dalla nascita, aveva quel particolare timbro metallico di tante persone con problemi di udito.

Prima di cominciare gli insegnanti ci spiegano che lei è antipatica, aggressiva e scostante per cui, insomma, come ogni brava vittima dopotutto merita di essere maltrattata, ma i genitori rischiano di diventare un problema e la scuola vuole mostrarsi sensibile.

In quell’aula io e una collega entriamo diverse volte, dapprima in osservazione per accertarci dei rapporti tra i ragazzi poi, visti i comportamenti del tutto fuori controllo e non soltanto verso la ragazzina, proponiamo di accendere una telecamera in classe per raccogliere filmati da visionare insieme alle famiglie, che in quei tre anni avevano brillato per il loro distacco verso la ragazzina e i suoi genitori e per la difesa a oltranza dei loro pupilli. Otteniamo tuttavia il consenso di tutti, probabilmente ognuno contava di trovare conferma alla propria visione della realtà.

Un sabato, ultima ora, l’insegnante di religione si siede sulla cattedra e estrae dalla borsa due grandi sacchetti di caramelle. Mentre il leader con una scopa in mano si muove danzando per tutta l’aula, e spolvera i piedi all’insegnante per subito dire “Ah, scusi prof, ho sbagliato, lei non è spazzatura”, la tapina distribuisce bon bon a destra e a sinistra assecondando tutte le richieste (“Per me due, una è per mio fratello!”, “Per me due, ho mal di gola!”…) e, rivolta verso di me: “Lo so, alla lunga mi costano qualcosa, ma almeno così non mi odiano”.

Come finisce questa storia? Con le parole del dirigente scolastico: “I ragazzi hanno l’esame, sa, siamo agli sgoccioli, sono nervosi, i genitori si preoccupano, non c’è motivo di convocare le famiglie per vedere i video, in fin dei conti tra pochi giorni si separeranno e andranno in tante scuole diverse”. Amen, e così sia.

Anche la ragazzina con disabilità ha proseguito gli studi in un istituto superiore dove – ho saputo – è stata ancora più irascibile, nervosa e provocatoria di prima e, di nuovo, vittima di bullismo. Non potevamo aspettarci niente di meglio.

Così a volte penso che anche quella volta c’erano le immagini, le avevamo riprese noi adulti, solo che non ci è venuto in mente di diffonderle, di renderle virali. Forse in fondo in fondo ci siamo sbagliati.

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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