Proprio le storie di due caporali – molto particolari, diversi, uomini veri: ce ne fossero molti così! – chiudono il ciclo Raccontare la storia, raccontare storie. Incontri con gli autori. Nonviolenza in azione. Si concludono le iniziative, avviate dal 2017 a Ferrara, a ricordo di Pietro Pinna e Silvano Balboni.
Diario di un obiettore. Strapparsi le stellette nel ’68 è il titolo del libro presentato dall’autore, Enzo Bellettato, il 19 marzo alla Feltrinelli di Ferrara. Silvano Balboni era un dono. Ferrara 1922-1948: un giovane per la nonviolenza dall’antifascismo alla costruzione della democrazia sarà presentato il 26 marzo, presso la stessa libreria da me. Nei tre precedenti martedì Mao Valpiana, Alberto Castelli e Raffaele Barbiero hanno portato all’attenzione le figure e l’opera di Alex Langer e Andrea Caffi, nonché episodi poco noti di Resistenza non armata e nonviolenta nella provincia di Forlì.
Al Tribunale militare di Torino, che lo condanna per essersi strappato dalla divisa mostrine e stellette, il caporale Bellettato dichiara: “Ho rifiutato di proseguire il servizio militare dopo aver inutilmente cercato di sostituirlo con un servizio civile in Italia o all’estero”. Nella sua bella autodifesa spiega e motiva la sua scelta e il suo gesto. Colpisce che il rifiuto a proseguire nel servizio, iniziato alla fine del giugno del 1967, si espliciti sul finire del marzo del ’68, dopo ben nove mesi ineccepibili, che gli avevano procurato la nomina, per niente cercata, a caporale. È una scelta da tempo maturata. Enzo, con Piero Pinna e altre quattro persone, ha dato inizio, nell’agosto del ’63, al Gruppo di Azione Nonviolenta. Ricordo bene quel momento perché tra quelle persone c’ero anch’io. Il GAN, con le sue piccole e tenaci iniziative, ha avviato quello stesso anno la campagna per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza in Italia. Bellettato non manca alle iniziative del gruppo e ne è spesso promotore.
Chiamato a prestare servizio militare cerca di evitarlo con l’arruolamento nei Vigili del Fuoco, con l’insegnamento o altra attività volontaria nei Paesi detti in via di sviluppo. Nel ‘66 la cosiddetta legge Pedini dispensa dalla leva militare i cittadini che in quei Paesi prestano servizi di assistenza tecnica. Manca però il regolamento di attuazione. Bellettato cerca l’esonero anche per motivi di famiglia. Non vorrebbe che il suo rifiuto del servizio militare si traducesse in una lunga detenzione. Oltre alla sua penosità lo terrebbe lontano da impegni che sente decisivi e urgenti, come educatore. Ha incontrato Capitini e don Milani. Sente l’importanza dell’insegnamento che svolge nella scuola dell’obbligo. Mi manda, dopo un viaggio a Barbiana, uno scritto intitolato “Scuola a tempo pieno per la difesa dei doveri degli insegnanti”.
Siamo alla fine del ’66, inizio ’67. Dice delle inadempienze della scuola dell’obbligo riguardo al compito che le spetterebbe. Per gli insegnanti prospetta queste riforme: 1) vacanza nei giorni festivi (anche se nel pomeriggio della domenica dovrebbe tenersi un cineforum) e nel mese di agosto (nel quale tuttavia sarebbero organizzate gite scolastiche veramente di istruzione e cultura); 2) orario della scuola 7-8 ore giornaliere; 3) diminuzione dello stipendio per insegnanti senza persone a carico e aumento degli assegni familiari. “Non credo che da parte degli insegnanti sorgerà alcuna obiezione su queste richieste: non sono mai riuscito a trovare un collega che si dichiari soddisfatto della quantità di tempo a sua disposizione per l’insegnamento”.
A quel tempo io, con amici ferraresi, promuovo un giornale, che vorrebbe, senza riuscirci, diventare periodico. Capitini lo ha indicato su Azione Nonviolenta come esempio da imitare. Vorrei pubblicare il testo di Bellettato (11 pagine dattiloscritte), ma qualche obiezione c’è da parte di amici docenti, non ostili alla pubblicazione, da accompagnare però criticamente. Di fatto il giornale il cittadino cessa le pubblicazioni. Ho mancato così la divulgazione di un testo milaniano, mesi prima dell’uscita di Lettera a una professoressa. È questo il ventiseienne insegnante che il 30 giugno 1967, quattro giorni dopo la morte di don Milani, inizia il servizio militare, nella speranza di poterlo tramutare in servizio civile con l’uscita del regolamento attuativo della legge Pedini.
Da allora, fino al congedo a fine novembre 1968, tiene un diario scrupoloso, del periodo in caserma, dell’obiezione, del carcere, del processo, della ripresa del servizio militare. Lo aveva detto nella sua autodifesa: “In quanto a me, non mi va molto di passare dei mesi o degli anni in un carcere militare… spero che dopo il processo sarà ripresa in considerazione la mia domanda di servizio civile. Ma in caso contrario non insisterò nel rifiuto e accetterò di continuare il mio servizio militare con la stessa diligenza non sincera con cui l’ho prestato finora”.
Non cessa il suo impegno per la nonviolenza. È obiettore fiscale alle spese militari, promotore della Consulta per la pace di Rovigo, insegnante e dirigente scolastico, impegnato in numerose attività culturali: l’istituzione del Planetario civico di Rovigo, la ricerca nell’ambito della storia locale, la raccolta e riproposizione di canti popolari, la presidenza della Associazione “Viva la Costituzione”.
Quanto a Silvano Balboni, uscito con il grado di caporale dal corso allievi ufficiali, diserta appena indossata la divisa – la sua è una vera obiezione di coscienza – e dal maggio al novembre del ’43 la sua intensa attività clandestina ha aspetti di vera temerarietà, fino al passaggio in Svizzera, sollecitato da Alda Costa. La sua breve straordinaria vicenda si conclude a Ferra a ventisei anni nel 1948. Lo uccide, in un giorno, un attacco forse di scarlattina.