Non dei migliori. Sostituisce – ha detto – Pupi Avati, felicemente vivente che ne resta invece componente. Ha poi precisato: Folco Quilici, deceduto. Una delle sue tante gag, forse involontaria. Roba di cinema insomma. Di Banfi, lui, ha visto tutto. A me la vicenda ha ricordato tutt’altra persona associata alla sigla Unesco.
Avrebbe compiuto 100 anni il 30 dicembre scorso Tullia Carettoni. La morte l’ha colta tre anni prima trovandola ben viva. Aveva da poco consegnato i suoi ricordi all’affascinata Roberta Yasmine Catalano, “La felicità è un pezzo di pane e cioccolata: conversazioni con Tullia Carettoni Romagnoli” (Catalano, 2013). Già perché la Carettoni – così la conoscevo – era figlia di Ettore Romagnoli, illustre grecista. Negli anni ’60, nel partito socialista, faceva parte della mia personale triade, con Riccardo Lombardi e Fernando Santi. Dal ’63 al ’67 ho avuto più occasioni di incontro e condivisione. Nel ’63 lei è una giovane senatrice del Psi. Io faccio parte della sua stessa “corrente”. È più facile incontrarla anche a Mantova, nel suo collegio elettorale, oltre che a Roma. Mi ritrovo poi con lei, e con i pochissimi che uscirono dal Psi, non accettando l’unificazione col Psdi. Non l’ho seguita nella costruzione di “Sinistra Indipendente” sfociata nell’elezione di parlamentari – tra i migliori che l’Italia abbia avuto – come indipendenti nelle liste del Pci. Sono stati pochi anni, ma intensissimi con Tullia molto presente: elegante nella persona e nel discorso, espressione di una cultura, che veniva da lontano e costantemente aggiornata, attenta a tutti i processi di liberazione, a cominciare da quello delle donne, socialista, non comunista né socialdemocratica.
Poi l’ho persa di vista. Ho saputo qualcosa del suo decennale impegno di parlamentare dal ’68 – nuovo diritto di famiglia, divorzio, aborto, beni culturali, scuola… – e dell’elezione al Parlamento europeo nel ’79. È stata la casuale conoscenza della sua nomina, 1985, a Presidente della Commissione italiana per l’Unesco, a riportarmi la sua figura alla memoria. Non ho mai più avuto l’occasione, né l’ho cercata, di incontrarla.
In questo incarico, mantenuto fino al 2004, non si è risparmiata. Come ho potuto ne ho seguito l’intensa attività anche sul Corriere dell’Unesco, che poi non ho più visto. Credo da anni non si pubblichi. Colta e promotrice del dialogo tra le culture, vive e diverse. Incontri e iniziative e tanti viaggi hanno caratterizzato anche questo periodo di intensa partecipazione ad una realtà in mutamento. Questa intensità – chiunque l’ha incontrata non può non averla avvertita – è la stessa con la quale è stata nella più diretta attività politica, provenendo dall’Antifascismo, dalla Resistenza, dal Partito d’azione. La cultura è necessaria alla politica. Ne abbiamo una riprova dolorosa in questi tempi anticulturali ed antipolitici.
Tullia si è laureata giovanissima in archeologia, ha sposato un archeologo, che è stato pure Sovrintendente alle Antichità di Roma. Al figlio – che non conosco e che ho appreso essere mio coetaneo – ha dato il nome del nonno Ettore, che mi ha aiutato ad amare il greco (ora dimenticato). Non meraviglia che a lei, dopo l’esperienza dell’Unesco, già avanti negli anni, ma attiva e vivace, sia stata data la presidenza di Herity (sintesi di Heritage e di Quality) organismo non governativo e non profit, per la miglior gestione del patrimonio culturale. Herity l’ha ricordata come persona retta, onesta, indipendente, capace di lasciare radici profonde nelle persone che con lei hanno avuto sintonia di obiettivi e di anima. Mi auguro che una, seppur debole, radice sia rimasta in me, assieme alla riconoscenza per averla incontrata. Così a chi non l’ha conosciuta propongo due brevi video.
Uno precede di un anno la sua morte. L’altro è Tullia come la ricordo io, salvo i capelli più lunghi e raccolti.
video del 2014:
video del 1961: