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Chiamalo se vuoi Rinascimento

DiDaniele Lugli

Ago 23, 2021

E dire che l’anno è cominciato così bene. Un conoscitore elogia in gennaio il Nuovo Rinascimento saudita. Vero che resta un parere isolato, fuori dalla corte del principe Mohammed bin Salman, ma la spiegazione di un giudizio così diverso merita di essere ricercata. Forse è abbastanza semplice: nel 2020 l’Arabia Saudita presiede il G20, il forum delle nazioni più ricche. Ci tiene a fare bella figura agli occhi di Stati che, almeno a parole, sono fissati con diritti umani e umanizzazione delle pene.

Le cifre non sono fornite con molta trasparenza, ma tra gennaio e luglio di quest’anno almeno 40 persone sono giustiziate. In tutto il 2020 sono solo 27. Proprio poche, se si considera che nel 2019 ne risultano 185. A novembre si tiene virtualmente il vertice del G20 e più di 220 organizzazioni della società civile non partecipano, protestando contro la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita. Il 1° dicembre 2020 l’Arabia Saudita lascia la presidenza e nel solo mese le esecuzioni sono 9! Non se ne poteva proprio più. Negli undici mesi precedenti solo 18 sono i giustiziati. Amnesty è persuasa che non di riforma si tratti ma di una pura azione di pubbliche relazioni, che si intensifica e rallenta secondo le circostanze.

Se vogliamo allargare lo sguardo può essere utile questo link. Riporto solo il sunto. “Si è intensificata la repressione dei diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione. Tra coloro che sono stati vessati, detenuti arbitrariamente, perseguiti e/o incarcerati figuravano oppositori del governo, attiviste per i diritti delle donne, difensori dei diritti umani, parenti di attivisti, giornalisti, membri della minoranza sciita e chi criticava online le risposte del governo alla pandemia da Covid-19. A fine anno, praticamente tutti i difensori dei diritti umani dell’Arabia Saudita conosciuti all’interno del paese erano stati arrestati o incarcerati. Hanno continuato a tenersi processi gravemente iniqui dinanzi alla corte penale specializzata (Specialize Criminal Court – Scc) e ad altre corti. I tribunali hanno fatto ampio ricorso alla pena di morte e le persone sono state messe a morte per un’ampia gamma di reati. I lavoratori migranti sono stati ancora più esposti agli abusi e allo sfruttamento a causa della pandemia e migliaia sono stati arbitrariamente detenuti in condizioni terribili, che hanno causato un numero imprecisato di morti”.

C’è anche un’altra spiegazione all’apparente contrasto tra il conferenziere fiorentino ed Amnesty. L’espressione Rinascimento evoca un periodo straordinario di recupero dell’antico e di apertura e sperimentazione di novità in ogni campo, ma nessun progresso quanto alla tutela dei diritti dei singoli di fronte alle autorità. È piuttosto il trionfo della violenza legale, della tortura, della pena capitale nelle forme più orride. Un esempio tra i tanti possibili. Deve ben sentirsi incompreso in patria un senatore, già Presidente del Consiglio, per recarsi festante alla corte del principe neo rinascimentale, che ben sa sbarazzarsi degli oppositori e delle persone fastidiose senza bisogno di leggere Macchiavelli. Tanti ci si è messo pure Biden chiedono conto al principe dell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi solo perché, nell’ottobre del 2018, persone del suo entourage volano a Istanbul, con due jet privati di una sua società. Uccidono Jamal Khashoggi. Ne fanno a pezzi il corpo, mai ritrovato. Il governo saudita l’omicidio, poi, l’ammette: Khashoggi è morto durante un arresto finito male. Il principe non solo non c’entra, ma li fa processare. A settembre 2020 otto persone – non se ne conosce l’identità: i sauditi rispettano la privacy – sono condannate per omicidio, dai sette ai venti anni. Sono così commutate le iniziali cinque condanne a morte. Dovrebbe essere contenta Amnesty, anche se, incontentabile, lamenta l’assenza dei mezzi di informazione e di osservatori indipendenti.

Il titolo di neo rinascimentale non mi disturba dunque quanto l’invidia per il costo del lavoro locale, confrontato con quello italiano. Se lo so io non l’ignora certo il dotto conferenziere. Vige, per i 10 milioni di lavoratori immigrati, il sistema kafala, con “abusi e sfruttamenti equiparabili al lavoro forzato”, secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch. Secondo Amnesty International nel 2019 due milioni di lavoratori stranieri sono stati arrestati con l’accusa di violare le leggi sul lavoro e sulla residenza e 500mila sono stati espulsi. Da noi il lavoro è forse troppo retribuito: il fiorentino a corte si basa forse sulla sua personale esperienza. Certo ce n’è poco e non manca quello schiavistico e insicuro: tre morti al giorno, uno per turno di lavoro.

Evito qui di parlare delle donne in Arabia Saudita, della loro condizione, delle loro lotte. È la base di ogni possibile passo verso la liberazione e l’eguaglianza, lì come in tutto il mondo.

Dal 1° dicembre 2020 è l’Italia presidente del G20 con il programma People, Planet, Prosperity. Per non restare al messaggio pubblicitario occorre che people, le donne e gli uomini, siano al centro delle scelte economiche e politiche, affrancati dalla miseria, sempre più liberi ed eguali. Solo così si può fondare prosperità. Quanto al pianeta starebbe forse meglio senza di noi.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2923), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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