Con la scomparsa di Franco Ferrarotti, l’Italia perde uno dei suoi più grandi pensatori, un pioniere della sociologia e un intellettuale che ha saputo leggere la società con uno sguardo attento alle marginalità e ai bisogni di giustizia. Negli elogi funebri ne si ricorda giustamente il suo legame con Adriano Olivetti e la Olivetti e la sua capacità di dire cose sul mondo fino alla fine. Quando ti accoglieva nel suo studio di Corso Trieste, dove ho avuto la fortuna di essere invitato a più riprese negli ultimi anni, aveva sempre un suo libro da regalarti. L’ultimo? No, il più recente, ti correggeva.
Ferrarotti ha scritto soprattutto per i giovani, invitandoli allo studio serio e disciplinato della società, pregandoli di non cercare scorciatoie, di trovare le vie del cambiamento. È su questa via, nel suo lungo percorso di ricerca e di impegno, che ha condiviso con Aldo Capitini e Pietro Pinna una visione profonda e trasformativa della società, orientata alla nonviolenza, alla pace e al cambiamento dal basso.
Come sta Piero (Pinna)? Chiedeva sempre fino a che la domanda ha avuto senso oppure fermava un ragionamento sciogliendo il suo cipiglio severo Ma questo lo saprai già, perché Capitini lo ha scritto chiaramente. L’invito era sempre ad andare avanti, a portare a terra, nelle maglie della società, la nonviolenza. Chiamava quella di Capitini “la prospettiva anarchica del soggetto consapevole”, non disposto a scambiare il suo diritto alla partecipazione e al potere “per il piatto di lenticchie d’un benessere mendicato presso un qualsiasi padre-padrone”. Questo era per lui anche il valore dell’antifascismo nonviolento.
Dopo partecipazione al nostro Congresso di Roma del 2017 e una serie di conversazioni sulla nonviolenza nel suo studio, sente il bisogno di donare la sua scrittura per un libretto breve ma importante Dialogare o perire dove riafferma invece con forza le radici storiche e ideali molto concrete della nonviolenza, che richiede a ciascuno il coraggio e la costanza di un impegno consapevole, condizione essenziale per la costruzione di una comunità umana nuova, dove le diverse culture possano esprimersi pienamente e coesistere. Solo così, solo con il dialogo si può affrontare la disgregazione sociale in atto e aprire la strada a un futuro davvero denso di possibilità e di meraviglie. E non perire.
“Il mio non è un discorso tenero e non ha nessun intento edificante – scrive Ferrarotti – Io voglio solo ricollegarmi all’esperienza umana, quella vera e non quella ingabbiata negli schemi intellettualistici di credo ideologici, per vedere (o tornare a vedere) le cose come stanno, semplicemente. Perché un discorso mite, accondiscendente, a tratti persino distratto come quello su cui si basa l’osservazione delle società industrialmente progredite, può avere effetti demistificanti da far tremare”.
L’ultimo contributo diretto per il nostro Movimento è una lunga intervista, puntuale e mai scontata, in occasione dei 50 anni della legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare. Anche lì, le sue riflessioni dal passato ci riportano continuamente con forza all’attualità, chiedendoci di essere ancora oggi obiettori alle guerre e alle diseguaglianze.
Nel ricordarlo, grati di aver avuto la sua voce con noi fin dal Seminario internazionale sulle tecniche della nonviolenza del 1963, il Movimento Nonviolento lo saluta come un alleato prezioso e una guida morale. La sua ricerca e il suo impegno ci lasciano un’eredità viva, che continuerà a ispirarci nel cammino verso una società più umana e inclusiva.
Daniele Taurino
per il Movimento Nonviolento