Il Pakistan, del quale mi è già capitato di segnalare l’impegno, (“Bestemmiatori cercansi”, 3 luglio 2017) si è preso credo un vantaggio. In due settimane – qualche martire, molti feriti, tanti danni – i manifestanti hanno ottenuto le dimissioni del blasfemo Ministro della Giustizia, il rilascio degli arrestati, l’assunzione a carico dello Stato delle spese per le ingenti riparazioni. In cambio avrebbero promesso di non lanciare una fatwa contro il Ministro. Nella nuova versione del giuramento aveva omesso un riferimento al profeta Maometto. Si è scusato, ha ammesso l’errore, è tornato al testo precedente. Non è bastato.
Il movimento Tehreek-i-Labaik Ya Rasool Allah, promotore dell’iniziativa partita con il blocco di un raccordo autostradale, può proseguire per la piena applicazione della sharia. Dawn (Alba, che appare però lontana), un giornale pakistano in lingua inglese, è addolorato. Titola “Capitulation” e inizia “It is a surrender so abject that the mind is numb and the heart sinks”. Tradurrei, come so dall’inglese, “È una resa così abbietta che la mente è paralizzata e il cuore si inabissa”. Torna sull’argomento nei giorni successivi per ricordare: “Questo paese ha il più grande degli uomini, il più notevole dei leader nel 20° secolo, come suo padre fondatore. Mohammad Ali Jinnah, il migliore di tutti gli uomini di Stato, che non conosceva l’odio o il bigottismo o la violenza, è la ragione per cui questo paese esiste. Ai suoi ideali dobbiamo tornare, alla sua visione dobbiamo impegnarci nuovamente. Riconoscere l’estremismo; sconfiggere l’estremismo; e lasciare prevalere il Pakistan di Jinnah”. È un buon auspicio. Jinnah è morto nel settembre del ’48, Gandhi era morto a gennaio. Avevano già visto la pessima piega presa dalla spartizione India Pakistan, ma non hanno fatto in tempo a vedere quanto si solo allontanati entrambi dalle loro speranze.
Dicevo di una classifica sulla severità delle leggi contro la blasfemia nel mondo, redatta dalla United States Commission on International Religious Freedom. Si apre con Iran, Pakistan, Yemen, Somalia, Qatar, Egitto. Mi sorprende trovare l’Italia subito dopo, prima dell’Algeria. È un lascito del Concordato, del Codice Penale Rocco (quello precedente di Zanardelli era meglio), che accorda un posto speciale alla religione cattolica, non solo per le bestemmie ma per tutto il trattamento.
In Italia la bestemmia è stata depenalizzata con Dlgs 30 dicembre 1999 n. 507 e ora suona così: “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantuno euro a trecentonove euro”. Se ben capisco significa divinità di ogni religione, per cui l’improbabile espressione “mannaggia Visnù”, che trovo in un libro di Achille Campanile, potrebbe essere censurata. Poiché la Corte costituzionale ha tolto il precedente inciso “o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato” la Madonna, tutti i santi, beati e simboli vari, si presterebbero liberamente all’oltraggio verbale. Nel codice era scritto “Dei delitti contro la Religione dello Stato e i culti ammessi”, una legge l’ha sostituito con una dizione più vicina ai valori costituzionali: “Dei delitti contro le confessioni religiose”. Quanto alle disposizioni che seguivano la Corte costituzionale ha abrogato gli artt. 402 “Vilipendio della religione dello Stato” e 406 “Delitti contro i culti ammessi nello Stato”. Quelli intermedi hanno visto togliere il riferimento alla sola religione cattolica e una revisione verso il basso delle pene. Forse potremmo uscire da quell’imbarazzante classifica semplicemente togliendo di mezzo quegli articoli.
Il ministro della Giustizia del Pakistan, Zahid Hamid, si è dunque dimesso. È uomo di considerevole esperienza, anche diplomatica, di studi pure all’estero. Potrebbe, evitando l’urdu, l’inglese, il punjabi, magari in una colorita variante provinciale della meno conosciuta delle oltre 60 lingue parlate nel Paese, sussurrare che a vilipendere la religione e a bestemmiare sono piuttosto i cultori della ignoranza (jahalah) che si pretendono fedelissimo del Rasool Allah, del Profeta cioè. Il Pakistan festeggia i 70 anni di indipendenza. Campano bene, spesso benissimo, forse cinque milioni di persone, civili e militari. Altri 30 o 40 milioni vivono in modo tollerabile. I restanti 150 milioni sopravvivono in miseria. Pur appannaggio dell’élite il governo è instabile: in settant’anni nessun primo ministro ha portato a termine il mandato. Decisamente il problema del Pakistan è la bestemmia.