Quest’ultimo è protagonista di due mostre ospitate nel novembre scorso nel Salone d’Onore del Municipio di Ferrara, al Liceo Classico nel dicembre e nel gennaio al Liceo Sociale. Una mostra intitolata “Senza offesa” presenta fotografie sull’attività del Movimento fondato da Capitini e Pinna nel 1962, all’indomani della prima marcia Perugia-Assisi. Di quelle iniziative Pinna fu principale promotore, vivente Capitini e anche dopo la morte di questi, avvenuta nel ’68. Ne restò ispiratore e partecipe, quando ragioni di salute gli impedirono il ruolo più attivo. L’altra mostra, “50 anni di Azione nonviolenta”, una copertina per ciascun anno, a partire dal ’64, ripercorre la storia della rivista. Di Azione nonviolenta Pinna ha curato dall’inizio edizione e diffusione e ne è stato direttore responsabile fino alla morte.
Per me le mostre sono state soprattutto occasioni di incontro e confronto con giovani. Prima questo è avvenuto con chi presta servizio civile: 160 nella nostra provincia. A gruppi di 20, in incontri di cinque ore ciascuno, abbiamo parlato dei temi evocati dalle mostre. Qualche incontro, non più di un’ora alla volta, ho curato con classi, ultimi anni, del Liceo Classico, e anche dello Scientifico nel mese di dicembre. Ora sono impegnato in quotidiane visite, accompagnate da domande e risposte, con classi del Liceo Sociale, dalla 1^ alla 5^.
Ho trovato ragioni di interesse e fiducia negli incontri con ragazze e ragazzi all’inizio del loro servizio civile. C’è stato il tempo di recuperare un po’ le radici ideali del servizio che stanno prestando e di riflettere, anche in modo attivo, sulle ragioni della violenza e sulla possibile risposta che la nonviolenza propone. Ci siamo lasciati con il proposito di ritrovarci più avanti per riprendere il discorso arricchito dalla loro esperienza. Mi è parsa diffusa la consapevolezza di una crisi, larga e profonda, che investe tutti gli aspetti delle loro giovani vite, di una tensione tra le cose che ci si sente in grado di fare, e si vorrebbero fare, e le possibilità in concreto presenti. Ho trovato anche un’attenzione e una considerazione nei confronti di chi, anche sconosciuto ai più, ha perseguito con coerenza obiettivi di convivenza, libertà, eguaglianza, benessere comune in circostanze diverse, ma non più facili, di quelle che i giovani si trovano oggi ad affrontare. Questo mi è parso, aiutato forse dalla considerazione – a me viene da Pontara – meglio essere ottimisti e sbagliare che pessimisti e indovinare.
Mi piacciono anche gli incontri, che sto facendo con questi più giovani, ragazzini o appena maggiorenni. Sono incontri più brevi: un’ora, talvolta due. Le domande spesso riguardano le persone, il loro percorso di vita, la loro coerenza, il loro coraggio, il conseguimento dei loro obiettivi, che, in tutti gli esempi, non sono di arricchimento e potere personale. E ho pensato che la conclusione di un mio precedente intervento forse era troppo pessimista, seppure non immotivata. Ricordavo una storia degli indiani cherokee: “Un vecchio racconta al nipote che tutti abbiamo dentro un lupo buono e uno cattivo. Quale vince? chiede il nipote. Quello che alimentiamo risponde il nonno. L’alimento preferito del lupo cattivo è l’ipocrisia, dire una cosa e farne un’altra. Su questa si fonda il nostro sistema educativo (famiglia, scuola, istituzioni)”. Credo che le cose stiano sostanzialmente così, ma occorre considerare che i giovani possono preferire il lupo buono a quello cattivo e trovare insegnanti, che non rinunciano ad essere educatori e li aiutano perciò a trarre il meglio da se stessi, ad alimentare il lupo buono a preferenza dell’altro.
Intanto leggo di loro coetanei, e anche più giovani, protagonisti di estrema violenza. Le cronache ne sono piene. Il ministro dell’Interno, a proposito delle gang giovanili (minorenni perfino sotto i 14 anni e perciò non imputabili) e delle loro gesta, al nord e al sud, ha detto “Usano metodi terroristici” e si è chiesto come rispondere. Sappiamo tutti cosa serve: scuola e lavoro, scuola buona e lavoro pulito, all’età giusta, per tutti. Questi che incontro a scuola ci vanno. Già la scuola ne ha persi un bel po’. Tra chi né lavora né studia è più facile il richiamo della violenza. Vedo mappe del disagio e statistiche. Secondo La Stampa del 17 gennaio 2018 sono circa 20 mila i ragazzi difficili, responsabili di atti di violenza, in carico ai servizi sociali, un quarto di origine straniera. La mia regione ha il record. Stacca di gran lunga tutte le altre. I ragazzi da noi non sono più cattivi che altrove. Forse c’è più attenzione. Quando le famiglie sono evidentemente inadeguate almeno li si toglie e si prova a dare loro un’altra possibilità. Non è così ovunque. 2.506 sono i minori presi in carico su indicazione del Tribunale per i minorenni di Bologna, competente per tutta l’Emilia Romagna. Seguono i Tribunali di Roma con 1.427, Catania 1.225, Bari 1.090, Palermo 969, Napoli 878, Genova 864, Torino 694, Milano 468, Bolzano 180… Secondo l’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, addirittura un minore su quindici è affiliato a una banda giovanile, uno su sei ha commesso atti vandalici, uno su tre ragazzi ha partecipato a una rissa. A me pare di stare incontrando, pur nelle difficoltà che la scuola vive, sia studenti che insegnanti impegnati in una possibile opera comune. In verità incontro più ragazze che ragazzi, più educatrici che educatori. Sempre vedo apprezzati gli esempi di vita e di azione, nei quali vi è coerenza tra i fini affermati e i mezzi posti in essere. È l’ABC della nonviolenza. So di non essere l’esempio che occorrerebbe offrire ai giovani, ma persone così ne ho conosciute e quando ne parlo vedo occhi che si illuminano e non mi pare d‘aver perso la giornata. Lì sarebbe il momento di cominciare sul serio, ma il tempo a disposizione è finito.