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Ci vuole un passo in più. La testimonianza di una ragazza rom che ha scelto la scuola e ha rifiutato il matrimonio combinato

DiElena Buccoliero

Set 5, 2019

Nel momento in cui io la incontro in udienza è scappata di casa e i servizi sociali l’hanno messa in protezione. Pochi giorni dopo un decreto del tribunale per i minorenni ha confermato l’inserimento in una comunità educativa dove la ragazza ha potuto riprendere la scuola e, per la prima volta, si è sentita alla pari con le coetanee.

Con dolore ha chiesto di non rivedere subito i familiari, nemmeno in presenza di un educatore, per paura che scoprissero dove viveva e la portassero via, cosa che è stata sfiorata in un paio di occasioni e poi è accaduta veramente. Notizie sue non ci sono state più.

Amaramente sorrido. I rom rubano i bambini? In questo caso sì, secondo la logica della legge, mentre loro direbbero che si sono ripresi la loro bambina rubata dai gagi. Quello che sfugge è la volontà della ragazza. Il mio compito in udienza era provare a capirla. Qualche giorno dopo avrei incontrato i genitori.

Sono scappata di casa per andare dai Carabinieri. Era già qualche mese che ci pensavo, quando i miei genitori mi ripetevano che non sarei più andata a scuola perché avrei conosciuto brutte persone, fatto cose sbagliate tipo sesso, droghe, ragazzi… e mi sarei allontanata dalla famiglia.

Quando ho compiuto i 16 anni e ho finito l’obbligo scolastico, mi hanno detto: “basta, non ci vai più”. Pensavano di farmi sposare. Dicevano: “ti sposi presto, la scuola non serve a niente”. Sono stati molto influenzati dai miei parenti, che dicevano ai miei di tenermi a casa perché a scuola potevo conoscere un ragazzo e innamorarmi. A mia cugina è successo, a lei piaceva un ragazzo italiano ma ha dovuto sposarsi con un altro scelto dai genitori. E poi i miei sono abituati così, anche loro si sono sposati molto giovani.

Io voglio continuare a studiare. Sono in seconda superiore.

Con i miei genitori da piccola stavo bene. Poi per un po’ di anni ho vissuto in Moldavia dalla nonna e quando mi hanno fatta venire qui ho ricominciato a conoscerli daccapo ma all’inizio ho avuto un rapporto bello con loro, specie con mio padre.

Mio papà non ha un lavoro, ha fatto domanda ma non l’ha trovato, invece mia madre fa un po’ di pulizie. In casa siamo in 15: mio papà e mia mamma, noi figli, le moglie dei miei fratelli e i loro bambini. Oltre a mia mamma lavorano due miei fratelli.

I miei sono severi. Quasi il giusto ma su qualche cosa esagerano, per esempio potevo uscire solo con loro, da sola potevo solo andare a fare la spesa o portare al parchetto i miei fratellini. Passavo abbastanza tempo con loro, o con i miei nipoti. Cucinavo io quando non c’era mia madre in casa.

Nell’ultimo periodo non ho più chiesto di uscire con le amiche perché sapevo già che mi avrebbero risposto di no. Le occasioni che ho avuto sono così poche che me le ricordo tutte: un compleanno in quarta elementare, la pizza di fine scuola in terza media. Tutto qui, a quanto pare non si fidavano di me.

Questa cosa mi dà molta tristezza. Non ho mai fatto niente di brutto, ragazzi fumo eccetera. Forse non si fidavano delle mie amiche ma erano mie compagne di classe, le conoscevano. Sono delle brave ragazze e vanno anche molto bene a scuola.

Quando parlavo con loro, a volte veniva fuori che abbiamo una vita diversa. Da una parte questa differenza mi sembrava strana, e dall’altra mi sembrava normale perché sono cresciuta in quella famiglia, hanno sempre cercato di darmi queste regole. Era normale vivere così, però poi andavo a scuola, vedevo gli altri, leggevo, studiavo, sentivo le compagne dire “stasera ci sentiamo… domani pomeriggio usciamo a prendere un gelato…”, io non potevo farle queste cose e mi sembrava strano. Poi crescendo ho visto che i miei sono proprio rigidi, un po’ autoritari.

Da noi non tutte le ragazze hanno la possibilità di andare a scuola. Io questa cosa me la tenevo molto stretta e i miei genitori dicevano “dobbiamo allontanarla”. Mio padre, quando le prof gli dicevano che mi impegnavo, sorrideva contento ma d’altra parte era “suo dovere” (gli è stato insegnato questo) ricordarsi che le ragazze si sposano, vanno a casa del marito, e via. Io lo so che mio padre vorrebbe anche essere diverso, ma per i parenti si sente costretto ad essere così.

Prima di scappare di casa mio fratello mi ha dato uno schiaffo perché aveva letto sul cellulare che parlavo con un’amica della mia situazione. Ha anche buttato per terra il cellulare e ha detto a tutti di non farmi uscire di casa. Invece loro non so perché si sono chiusi in camera con la musica alta, sicuramente non ci credevano che sarei andata via. Quando sono uscita, dietro di me ho sentito che la porta della stanza si è aperta e si è richiusa. Quindi qualcuno mi ha visto, però non so chi.

Per ora non me la sento di rivedere i miei genitori. Devo prima capire se sono disposti a cambiare per me, o se continueranno con questa cultura che veramente fa schifo, dei matrimoni combinati, delle ragazze che non possono andare a scuola perché si devono sposare, e devono stare in casa con il marito e i bambini. Spero, che loro cambino. Quando avrà 16 anni la mia sorellina, che è bravissima a scuola, chissà che cosa faranno. Spero che si domandino: e se va via anche lei? Spero che il mio esempio serva a qualcosa.

I miei genitori sono già un po’ diversi dai miei zii, per esempio mia madre lavora. Ci vuole un passo in più. Spero, e credo, che siano disposti a farlo.

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

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