Lo scorso anno non può che entrare negli annali della storia della Colombia: il governo colombiano ha firmato un accordo storico con le FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionaria de Colombia – Ejercito popular) che dovrebbe porre fine a 50 anni di sanguinoso conflitto armato.
Nonostante il primo accordo firmato a settembre sia stato cassato dal referendum di ottobre – soprattutto a causa delle forti concessioni previste per gli ex responsabili delle FARC-EP – il dialogo non si è interrotto.
L’accordo è stato quindi modificato, tenendo conto degli emendamenti richiesti dal fronte del no, e una versione rivista è stata firmata il 24 novembre scorso ed è entrata in vigore il primo dicembre 2016 (D-Day).
L’accordo rivisto è composto da sei capitoli, tra questi figura la possibilità per gli ex-leaders guerriglieri di prendere parte alla vita politica del paese, nonchè la creazione di un sistema di giustizia riparativa per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani.
Le questioni da affrontare in questa fase di post-conflitto sono immani, basti accennare alla necessità di sminare intere aree, al problema degli sfollati interni, al narcotraffico e alla coltivazione di coca utilizzati dai gruppi armati per finanziarsi, all’arruolamento di persone minori d’età, alla riparazione per le centinaia di migliaia di vittime del conflitto…
In una società così provata dalla guerra e fortemente militarizzata, il servizio militare non può che essere obbligatorio ed il diritto all’obiezione di coscienza esercitabile a fatica.
La Corte Costituzionale colombiana ha emesso tre sentenze (C 728 del 2009, T 018 del 2012 ed T 455 del 2014) che riconoscono l’obiezione di coscienza come causa di esclusione dall’espletamento del servizio militare, pur non ritenendo necessario che venga adottata una legge ad hoc.
L’esito è quindi quello – come spesso accade – di un diritto riconosciuto ma difficilmente attuabile, perché non esplicitamente stabilito da una legge che ne normi l’esercizio.
Più recentemente, timidi passi avanti sono stati fatti.
Come prima cosa, la Corte Costituzionale (sentenza SU-108 del 2016) è intervenuta nuovamente ed ha esplicitato l’obbligo di creare un gruppo interdisciplinare che si occupi delle richieste di obiezione di coscienza.
Il gruppo in questione è stato creato ma risulta composto esclusivamente da militari, inficiandone così il giudizio. Infatti, secondo i dati del Ministero della Difesa, a giugno 2016, delle 152 richieste presentate solo 43 sono state accettate. Nessun obiettore per motivi pacifisti o ideologici è stato riconosciuto.
Un’altra recente novità è la possibilità riconosciuta agli obiettori di coscienza di laurearsi e di poter lavorare per un massimo di 18 mesi, seppur privi della carta d’identità militare (libreta militar). Tale documento accerta che si è in regola con il servizio militare o di esserne esentati conformemente ai casi previsti dalla legge.
Si tratta tuttavia di norme transitorie e valide solo per il 2015 e 2016, la legge ordinaria prevede infatti di dover essere in possesso di tale carta per essere in regola con gli studi ed il lavoro.
Al difficile esercizio del diritto all’obiezione di coscienza, si vanno quindi a sommare altri diritti negati e discriminazioni.
Ma il lato più oscuro e cruento riguarda le batidas, ovvero casi in cui giovani vengono fermati in luoghi pubblici da membri delle Forze Armate e condotti al distretto militare. Lo scopo è quello di verificare la loro situazione personale, svolgere esami medici e nel caso di idoneità, arruolarli forzatamente. Tali batidas possono durare poche ore fino a due giorni, periodo in cui i contatti con l’esterno non sono autorizzati neanche per chiamare un avvocato o avvisare la famiglia.
Le batidas sono state considerate illegali dalla Corte Costituzionale colombiana (sentenze C-879 del 2011 e T-455 del 2014). Inoltre nel 2008, il Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha riconosciuto come arbitraria la detenzione di tre giovani colombiani da parte delle Forze Armate. L’opinione del gruppo ONU sottolinea come la detenzione di individui che hanno espressamente dichiarato la loro obiezione di coscienza non abbia alcun fondamento legale e che il loro arruolamento forzato sia una violazione del diritto alla libertà di coscienza (Opinione n. 8 del 2008).
Ho avuto modo di approfondire questi ed altri temi con Nicolas Rodriguez, obiettore di coscienza e membro di ACOOC (Accion colectiva de Objetores y Objectoras de Conciencia) e del collettivo La Tulpa. L’ho incontrato a Ginevra lo scorso ottobre, in occasione del settimo monitoraggio della Colombia da parte del Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Nicolas ha parlato con fervore del proprio Paese e delle quotidiane discriminazioni a cui sono soggetti i giovani. La società colombiana è caratterizzata da quello che il collettivo La Tulpa chiama, riprendendo il termine dalle lotte femministe, milipatriarcado. Una società gerarchizzata in cui essere uomo, adulto e bianco – e non donna, giovane ed indigeno o afroamericano – sono caratteristiche che portano a migliori condizioni socio-economiche.
Il collettivo intende quindi protestare contro le assurde norme sociali a cui si deve obbedienza senza che sia stato chiesto alcun parere. Tra queste norme, ovviamente, figura “il dovere di servire la patria” e il concetto per cui “i giovani sono da considerarsi più uomini se vanno a fare la guerra”.
Per portare avanti questo obiettivo, il collettivo diffonde informazioni sull’obiezione di coscienza, dando indicazioni pratiche su come obiettare e come comportarsi in caso di batidas.
Tornando agli accordi di pace, tra gennaio e febbraio più di 7.000 ex-guerriglieri si sono recati nelle 27 zone previste dalla missione Onu in Colombia, al fine di deporre le armi e prendere parte alla transizione verso la vita civile. Si tratta di un primo indispensabile passo per il cessate il fuoco e la fine delle ostilità.
Tuttavia, tra le sfide maggiori c’è la de-militarizzazione della società colombiana, affinchè la costruzione de la paz estable y duradera diventi realtà.
Per ulteriori informazioni:
FOR Peace Presence (corpo civile di pace di IFOR in Colombia), De- or Re-Militarization in Post Peace-Accord Colombia?
War resisters’ international, Colombia: las paces desde una perspectiva antimilitarista latinoamericana