Ci aiuta a rispondere a questa domanda la prossima edizione di Cantiereducare, l’evento che ogni anno, dal 2015, viene promosso da LUdE (Libera Università dell’Educare) con il contributo della Fondazione Cariparma.
Ogni anno il Cantiere si sofferma su una delle principali questioni educative del nostro tempo. L’edizione che sta per iniziare, dedicata all’educazione civile, si svolgerà tra il 20 e il 23 novembre ed è già tempo di iscriversi, se si è interessati alla domanda di fondo.
Se è innegabile che siamo, per nascita, e al tempo stesso diventiamo, con la crescita, cittadini, non è altrettanto chiaro a chi spetta il lavoro educativo perché il soggetto possa farsi cittadino e fare cittadinanza: alla famiglia, alla scuola, alla comunità, a ciascuno di noi? Ma soprattutto quando, dove, in quali occasioni?
E poi i ragazzi lo sentono davvero il desiderio, la necessità, di riconoscersi come cittadini? Proporlo nell’azione educativa è aprire una strada o rincorrerli per dispetto, con formule un po’ ammuffite? Mentre il telegiornale informa di quel gruppetto che in una scuola di Vimercate ha spento la luce per aggredire a colpi di sedie l’insegnante, il dubbio mi sembra legittimo. Può darsi che inscenare il Far West risulti più attraente che esercitare i propri diritti. Ma poi mi consolo (se così si può dire) e mi dico che è anche quello il prodotto di una strada accuratamente spianata dagli adulti: sottrarsi alle regole, sfidare l’istituzione, rovesciare l’ordine e, se c’è un problema o una contraddizione, aggredire ma a luce spenta, cioè nascondendo il proprio volto e celare anche, a se stessi, quello di chi subisce violenza.
Si può fare di meglio. Occorre, scrivono i promotori del Cantiere, “coltivare sentimenti di comunità, costruire legami pubblici e abilitare competenze sociali, rinnovando il bisogno di ciascuno di sentirsi parte del mondo”. E alla questione dell’attualità mi rispondono implicitamente:
Si potrebbe sostenere che (l’educazione alla cittadinanza, ndr) è una preoccupazione pedagogica infondata, perché ciascuno cresce al mondo prendendone le misure e offrendo il suo contributo. La cronaca, però, ci racconta un’altra storia, inanella vicende in cui l’interesse privato sembra essere l’unico e l’ultimo perno intorno a cui si regge la vita associata. (…) Se, nonostante ciò, riteniamo che la dimensione pubblica sia costitutiva delle nostre biografie e della nostra storia, è forse giunto il momento di tornare a interrogare le nostre istituzioni e a interrogare il versante pedagogico. L’educazione, in questo scenario, deve poter rispondere anche alla sua responsabilità di formazione della sfera pubblica della soggettività. Una responsabilità pedagogica, questa, tanto riscoperta ed esibita, quanto, non di rado, trascurata o rinviata.
Per molti anni la prevenzione del disagio giovanile nelle sue più varie forme ha coinciso con la promozione del benessere. Che si parlasse di droga o di bullismo, di dispersione scolastica o di autolesionismo, noi operatori ci siamo detti che questi ragazzi bisogna capirli, ascoltarli, farli stare bene, perché non abbiano interesse per soluzioni false o distruttive. Lo penso ancora, ma capisco che è parziale. Credo che quella preoccupazione “materna” vada arricchita tenendo conto della domanda di senso, che trova una risposta più facile nell’assunzione di responsabilità, nello stare e fare insieme, con intelligenza e emozione e a volto scoperto.
C’è modo e modo di ricordare gli anniversari, lo diceva bene da queste pagine Daniele Lugli, e l’anno che sta per chiudersi, siccome finisce per otto, è prodigo di assonanze. Tra tutte, Cantiereducare ha scelto il settantesimo della Costituzione che su trasparenza, esercizio di diritti e assunzione di responsabilità continua a insegnarci parecchio.
Tutti gli incontri si svolgono a Parma, le lectio magistralis e i laboratori (mattina e pomeriggio) al Workout Pasubio di Via Palermo 6, mentre per i “dintorni” serali la sede è il Palazzo del Governatore in Piazza Garibaldi 2.