Vi risiedono una quarantina di sinti: “zingari” italiani per capirci meglio. Da farsi subito, subito: entro luglio si è ripetuto. Per questo l’assessore alla sicurezza si è provvisto di relazioni dell’Ausl e dei Vigili del Fuoco per un’ordinanza contingibile e urgente di sgombero. Ora i residenti, pare, lasceranno il campo per altre sistemazioni abitative in modo meno traumatico, programmato e concordato. L’ordinanza, purtroppo, reca la data di agosto, se pure il primo.
La situazione del campo – fuori da tutto: sui buchi della forca si dice da noi – è nota nel suo degrado. Può essere chiuso e lasciato senza rimpianti, sia che il suo stato derivi da carenza di straordinaria manutenzione del Comune proprietario, da usi impropri delle strutture da parte degli occupanti o da entrambe queste cause Anche i residenti concordano, pare.
Un tempo questi campi vennero detti di sosta nella finzione che gli utilizzatori fossero nomadi, come – salvo ristrettissime minoranze – non sono. Vennero realizzati per evitare sistemazioni anche più precarie e prive di ogni servizio. Così è stato pure a Ferrara. Ci sono le condizioni per superare una situazione inadeguata, che amministrazioni precedenti avrebbero potuto affrontare con più decisione. Ora si sarebbero potute incontrare la volontà ribadita della nuova amministrazione, la disponibilità di associazioni del terzo settore esperte in accoglienza, lo stesso atteggiamento favorevole dei residenti.
Conoscere per deliberare diceva Luigi Einaudi nelle sue Prediche inutili e annotava “La soluzione si trascina; il problema, una volta posto, deve esser risoluto; urge, non si può tardare oltre ad affrontare la questione”. Già allora dunque, quale che fosse il tema, ogni richiesta di approfondimento “significava volontà di ritardo e di inazione; come se le soluzioni non maturate e non ragionate non partorissero necessariamente nuovi grovigli e rinnovate urgenze di porre rimedio a peggiori mali”. Einaudi proponeva una sequenza: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”. A Ferrara, come altrove, si è pensato all’ordine inverso. Il nostro rimpianto Presidente (liberal chic?) si interrogava: “Giova deliberare senza conoscere? Al deliberare deve, invero, seguire l’azione. Si delibera se si sa di potere attuare; non ci si decide per ostentazione velleitaria infeconda. Ma alla deliberazione immatura nulla segue”.
Questo mostra quanto fosse ottimista. A quel tipo di deliberazione qualcosa segue: di solito il disastro. Di questa riluttanza alla conoscenza sarebbe molto responsabile “chi possiede una dottrina, ed ha fede in quella. Egli non ragiona sul fondamento dei dati da lui conosciuti e della tanta o poca capacità di raziocinio ricevuta alla nascita da madre natura e perfezionata collo studio e colla esperienza… Prima di studiare, egli sa già quel che deve dire… sa che, ‘al punto di vista’ della sua fede sociale e politica, la soluzione è quella. Non importa conoscere l’indole propria del problema, la sua nascita, le sue cause, i suoi precedenti. La soluzione è bell’e trovata… Forseché, sussistendo ‘un punto di vista’, fa d’uopo cercare e, cercando, conoscere?”
Se poi la dottrina è semplicissima: ruspa, preceduta – per bontà d’animo – dallo sgombero, a che serve riflettere sul passato, il presente, il futuro di persone già in difficoltà. A che serve collegarsi alla Regione, alla sua strategia, coerente con quella nazionale, Rom Sinti Caminanti 2012-2020, alla possibilità di averne un sostegno (“la Regione può concedere contributi ai comuni” impegnati nel superamento dei campi, secondo la legge regionale del 2015 “Norme per l’inclusione sociale di Rom e sinti”)?
Meglio lasciare l’istruttoria della ordinanza di sgombero al vice sindaco, persona attenta e sensibile, che già amava ritrarsi con una maglietta recante la simpatica scritta + Rum – Rom. Con i suoi proclami è parso più intento, anche nell’attuale bianca camicia d’ordinanza, a procurare allarme che a istruire la pratica. Meglio rispondere alle associazioni, che ribadiscono il loro impegno nella ricerca della miglior soluzione, come ha fatto il Sindaco deluso “soprattutto davanti all’abbondanza di alloggi e sistemazioni individuate, con solerzia e immediatezza, quando, in passato, si trattava di ospitare sedicenti profughi e richiedenti asilo, catapultati sul territorio senza alcun preavviso”.
Non possiamo dire che non ce l’aspettavamo: lo sapevo perfino io e l’ho scritto (La Contea del grande cambiamento, 18 giugno 2018): “A cominciare dagli zingari non si sbaglia mai”, ringhiava affettuoso l’aggrottato Visconte. “Ma nonnina non vuole” obiettò il Viscontino. “Vediamo, vediamo – rifletteva il Conte – nel contratto non c’è nulla sulla questione ebraica, ma sui Rom, che stanno negli appositi, abolendi campi, sì”…
Le associazioni hanno operato perché la situazione non degenerasse e, con la partecipazione dei residenti, hanno pure iniziato sistemazioni nel campo, secondo i rilievi su igiene e sicurezza, anche se non era stato possibile vedere le relazioni attinenti. Con maggiore attenzione si poteva arrivare a una soluzione stabile e sostenibile, ma sarebbe mancata l’esibizione della forza. Dice infatti il Sindaco, in un comunicato del 31 luglio, “Domani a margine dell’incontro con il Prefetto convocato nel rispetto della indicazione della direttiva Salvini relativa al monitoraggio provinciale e alla chiusura delle aree dedicate a campi nomadi, firmerò l’ordinanza di sgombero del campo di sosta di Ferrara”. Il suo comunicato prosegue accusando l’inerzia sperperatrice dell’Amministrazione precedente, che sarà opportunamente denunciata. L’ordinanza l’ha poi firmata.
La disponibilità di un paio di associazioni a far fronte alle immediate necessità dei residenti, con sistemazioni che non portino a dividere le famiglie e limitino il disagio dei trasferimenti, attenua l’impatto più negativo del provvedimento. Altre associazioni – che pure proseguiranno nella loro attività per agevolare, in diverso modo, il percorso delle famiglie – non hanno condiviso la scelta. Questa scaricherebbe impropriamente sul Terzo settore preminenti responsabilità pubbliche, in cambio di un inadeguato, temporaneo, concorso economico da parte del Comune. Potrebbe costituire un precedente per altri sfratti, sgomberi e simili, con il sottrarsi dell’amministrazione pubblica alle proprie responsabilità.
Conoscendo l’energico promotore delle associazioni che hanno fatto la scelta più impegnativa, credo l’abbia guidato la disponibilità ad accogliere sempre situazioni di marginalità o devianza, anche molto gravi. Del suo aiuto si è avvalso, in anni lontani, lo stesso vicesindaco, in un momento di difficoltà. Visto l’esito si potrebbe dubitare della bontà dell’intervento, ma non sappiamo cosa sarebbe diventato senza l’aiuto ricevuto. E poi don Domenico la nonviolenza – apertura all’esistenza dell’altro, alla sua libertà, al suo sviluppo – la pratica. Io, inadeguatamente, talora ne scrivo.