• 23 Dicembre 2024 21:45

Considerazioni di un federalista europeo amico della nonviolenza

DiDaniele Lugli

Giu 28, 2023

Federalismo europeo e nonviolenza sono due cose che stanno bene assieme, sosteneva Daniele Lugli. Proponiamo il suo intervento all’iniziativa “Dagli atti del progetto sulla violenza economica a proposte e azioni in chiave Europea e PNRR” promossa a Ferrara dal CDS – Centro Documentazione e Studi il 28 ottobre 2021.


Prendiamo come di buon augurio che l’incontro si svolga nella settimana europea della parità di genere e dopo l’approvazione della legge sulla parità salariale, da parte di un Senato che non mostra particolare sensibilità quando si tratti di diritti civili. La considerazione eccessiva, credo di Annalisa Ferrari, nei miei confronti spiega la mia presenza accanto a relatrici e relatori. Sono indicato come federalista e amico della nonviolenza. Due cose che stanno bene assieme.  L’attuale Unione europea nasce dal rifiuto della violenza e della massima violenza. Due guerre mondiali si sono originate nel cuore dell’Europa. E l’Europa può continuare a svolgere un ruolo di pace e giustizia, al suo interno e nel piano internazionale, solo evolvendo, decisamente in Europa federale e democratica. Prendiamo come ulteriore segno augurale l’essere questa la settimana che l’ONU dedica al disarmo.

Federalista

Da liceale sono attivo a Ferrara nella Gioventù federalista europea. È un filo che non si è interrotto. Un impegno ho un po’ ripreso in anni recenti. Mi fa piacere che il Movimento Federalista Europeo abbia donne a reggere la segreteria nazionale, Luisa Trumellini, e a dirigere la rivista Il Federalista The Federalist, Giulia Rossolillo. Mi sembra essere in armonia con l’auspicio di una grande Ursula. Non penso a Ursula von Der Leyen, ma a Ursula Hirschmann. Non è solo la moglie di Colorni e Spinelli, con Rossi autori del Manifesto di Ventotene. Di questo potrebbe essere considerata pure coautrice oltre che diffonditrice clandestina, con Ada Rossi, moglie di Ernesto, altra madre fondatrice dell’Europa. È Ursula a organizzare il primo congresso del Movimento Federalista Europeo, Parigi, marzo 1945.  Non accennerò alla sua vita difficile di ebrea tedesca antinazista, alla sua attività politica prima, durante e dopo la guerra, al suo coraggio e intelligenza in un’attività incessante anche quando erano ben piccole le sei figlie Silvia, Renata ed Eva Colorni, Diana, Barbara e Sara Spinelli. In questo contesto mi limito a ricordare la creazione da parte sua, a Bruxelles nel 1975, del gruppo “Femmes pour l’Europe”. Ursula Hirschmann è convinta che le donne abbiano un forte interesse per un’Europa unita e il loro contributo sia indispensabile per costruire una federazione realizzatrice di libertà e giustizia sociale. Organizza, 7 e 8 novembre 1975 a Bruxelles, un seminario, presentando quattro rapporti su le donne e l’Europa: Obiettivi a breve e lungo termine; La situazione delle donne nella CEE: bilancio e prospettive; Quale Europa vogliamo?; I mezzi pratici per promuovere la partecipazione delle donne alla costruzione europea. Ne discutono un centinaio di donne provenienti da quasi tutti i paesi. Quelle impegnate nelle istituzioni e nella vita politica debbono collaborare con le femministe. Da queste le prime debbono imparare la solidarietà con tutte le altre donne, riconoscendo che “l’organizzazione socio-politica attuale è fatta unicamente dagli e per gli uomini, con tutte le distorsioni che ciò comporta”. Le femministe dal canto loro non possono pensare ad obiettivi prioritari e separati. Non è vero che “le donne devono cominciare prima a liberarsi delle loro catene individuali (la lotta per l’aborto, per la parità salariale, ecc.) e in ‘seguito’ occuparsi di politica. Le donne devono, al contrario, battersi su tutti i fronti. La battaglia per l’unificazione politica dell’Europa può essere una tappa importante ed esemplare per le donne. Le donne dovranno cominciare a considerare l’Europa come una città in formazione, suscettibile di prendere l’impronta che gli si darà.”

Su effe ne scrive Daniela Colombo convenendo sulla proposta di Ursula: “Abbiamo un certo ritardo da recuperare, rispetto agli uomini che si occupano di Europa da ormai 25 anni, ma non dobbiamo cedere alla nostra timidezza. Riusciremo soltanto se avremo il coraggio di batterci su tutti i fronti contemporaneamente. Non possiamo aspettare di ‘essere formate’ per lanciarci nella politica, perché soltanto facendo politica ci si forma. Sarebbe utopia pensare che delle donne potrebbero formarsi ‘in abstracto’ per delle funzioni che rimarrebbero loro precluse”.

All’inizio del 1976 Ursula Hirschmann è colpita da aneurisma cerebrale. Perde l’uso della parola e non si riprende mai più completamente, pur continuando, come può, a impegnarsi politicamente. Muore nel 1991.

Amico della nonviolenza

Così ci invitava a chiamarci Aldo Capitini: “Se vi direte nonviolenti vi troveranno mille difetti!” Io, prudentemente, mi sono sempre detto “amico delle amiche e degli amici della nonviolenza”. Avevo letto scritti di Capitini fin da ragazzo, ma l’incontro con lui è nel ’62, alla nascita del piccolo Movimento nonviolento. Da lui ho sentito dire, lo aveva scritto anni prima, che l’avanzamento di una società si misura dal posto che vi hanno le donne. Alla liberazione di Perugia promuove e anima uno straordinario strumento di partecipazione: il Centro di Orientamento sociale. Un attivo Centro è stato anche a Ferrara nel dopoguerra. Insiste sul ruolo che in quelle assemblee – il motto è ascoltare e parlare – hanno le donne. “Qui un operaio, un’umile donna, può insegnare più di un professore… il grande posto dato alle donne per la loro opera di chiarimento e soluzione dei problemi specialmente amministrativi, igienici, scolastici, assistenziali (e difatti al C.O.S. è sempre venuto un gran numero di donne, malgrado le loro faccende domestiche)”. Tra le prime modeste pubblicazioni del C.O.S. è un foglio, La donna nel suo posto sociale. I contenuti sono riportati nel Corriere di Perugia del 3 marzo 1945: “La civiltà nel suo sviluppo presenta diversi aspetti, uno dei quali è quello di affermare sempre più largamente e vigorosamente… un piano comune, un’esplicazione di vita, in cui non si distingua il genere maschile da quello femminile. La disparità deve essere superata dagli uomini nel considerare le donne, ed essi potranno far questo tanto più quanto le donne stesse lo faranno dentro di loro e nel vario loro operare”. Nell’appello al voto del 1946 torna sull’importanza della partecipazione femminile: “E voi, donne lavoratrici, donne di casa, ricordatevi di chi raccolse le vostre fedi matrimoniali per darle a Mussolini, che poi ha fatto tre guerre e ha portato l’Italia a questo disastro. Queste assemblee si riuniranno almeno una volta al mese, e tutti gli abitanti, uomini e donne, vi potranno intervenire. E anche tu che sei donna lavoratrice, donna di casa, comprendi che non basta il tuo santo lavoro di sposa e di madre. Dovete tutti volere che le cose vadano bene, che l’amministrazione sia giusta, che non ci siano sfruttamenti, guerre, oppressioni, torture”.

Il mio ricordo di Capitini è inscindibile da quello di Luisa Schippa. Lo affianca, studentessa, nell’antifascismo, collabora nella sua azione sociale, politica, religiosa nel dopoguerra. Ne cura gli scritti. Con lei va ricordata almeno la quacchera Emma Thomas. Nel dopoguerra raggiunge Capitini a Perugia per collaborare con lui. Dona l’appartamenti in via dei Filosofi, come sede per il Centro di Orientamento religioso. Nella sua tomba è sepolto pure Aldo.

La violenza

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul 10 anni fa, è stata ripudiata dalla Turchia, già prima firmataria. È una invenzione femminista, nelle parole di un ministro polacco. La Polonia non la firma, capofila di uno schieramento di paesi dall’est a quelli baltici. Non sia mai che l’Europa cristiana debba farsi insegnare dai musulmani come vanno trattate le donne. Da Galtung abbiamo imparato a distinguere violenza diretta, più immediata e visibile, violenza strutturale e violenza culturale, che la sorreggono, promuovono, giustificano.

La violenza diretta resta un aspetto rilevante. È una violenza, quella contro le donne, per la quale il Parlamento europeo ha chiesto la considerazione di crimine comunitario, come già per il traffico di esseri umani, di droga e di armi, il crimine informatico e il terrorismo. L’estrema violenza contro le donne ha prodotto un nuovo sostantivo per indicarla: femminicidio.

Negli atti del convegno, dal quale questo incontro trae origine, ho letto un forte richiamo alla violenza strutturale. Proprio in un intervento della Carparelli questo aspetto è particolarmente evidenziato. La violenza economica, un’evidente violenza, sta nella struttura dell’economia, nella distribuzione del lavoro e del potere. Lo svantaggio delle donne è ampio e documentato. E giustamente nel suo intervento ha ricordato che “abbiamo ampia evidenza statistica del legame stretto tra violenza economica e le forme più estreme di violenza sulle donne”

Così in vari interventi, e in particolare in quelli della Oliva, è la violenza culturale a essere incisivamente rilevata. “Le questioni di carattere culturale, sono assolutamente propedeutiche ad un cambiamento necessario per il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo delle donne, con l’obiettivo della parità di genere”. La difficoltà di riconoscere l’equivalenza quando percepisci la differenza. Immediato è il riflesso: quale il Maggiore e quale il Minore, con distruttive conseguenze, personali e collettive. Pat Patfoort bene illustra questi processi, ma ci offre una speranza: Non è possibile cambiare il passato, ma si può lavorare per un futuro migliore.

Torno all’invito di Ursula Hirschmann, “l’europea errante”, per una “Patria Europa”, che superi la ristrettezza e inadeguatezza degli Stati Nazionali e risponda alle sfide che l’attualità impone. Questo può solo farlo un’Europa federale, sovrana e democratica. La Conferenza sul futuro dell’Europa può essere un momento importante in questa costruzione. L’invito è quello di partecipare online al dibattito che la prepara e accompagna. I federalisti si sentono impegnati ad agevolare questi apporti anche da parte di chi, come me, è non nativo, ma mortivo digitale. Assemblee consapevoli e aperte dei cittadini, sull’esempio dei Centri di Orientamento Sociale, che ho ricordato, debbono organizzarsi su temi decisivi per la realizzazione di un’Europa, federale e democratica, ponte per una federazione mondiale, Sono importanti e necessarie perché democrazia, partecipazione, inclusione non restino simpatiche e vuote espressioni.

 

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948