Voland è una casa editrice seria, di alto profilo. Pubblica autori originali, attenti a raccontare le emozioni, i sentimenti, le sensazioni che accompagnano i momenti cardine dell’esistenza. Tra le voci più significative c’è sicuramente questa scrittrice francese. Tra i suoi romanzi brevi, ho scelto questo: racconta le vicende di un gruppo di bambini, figli di diplomatici stranieri, chiusi, confinati nel ghetto di San Li Tuun, nella Pechino degli anni ’70, impossibilitati a uscire, reclusi dalle autorità del regime. Una masnada di ragazzetti di tutte le nazionalità, lasciati da soli in uno spazio ristretto e cementificato, giocano alla guerra. Creano bande, pianificano scontri, organizzano agguati, si inseguono, si picchiano, infliggendosi torture al limite tra il crudele e il grottesco. Scimmiottano il mondo degli adulti. La piccola protagonista, in prima persona, con i suoi sette anni e la sua bicicletta, passa nel mezzo degli scontri e osserva. Tutto è assurdo e concreto, denso di fango e pieno di simboli, in un microcosmo malato e infetto dalla follia della ricerca del potere ad ogni costo. In questo tortuoso percorso, la bambina cresce e scopre il significato autentico e vero dell’ amicizia, dell’odio, della parola. Lentamente, inesorabilmente, ogni cosa perde senso e ne acquista un altro, meno evidente, ma più profondo. Fino a quando irrompe l’amore, la forza e l’energia che creano gioia e dolore insieme. In un disincanto progressivo, che toglie ardore allo scontro e lo dona alla ricerca di sé, alla scoperta della propria identità.
Con uno stile ironico, coinvolgente, fresco, questa storia entra dentro e cattura, come una spremuta di limone d’estate: amara, ma dissetante.
Buona lettura.