L’amico interessante
Ognuno di noi ha, tra i propri conoscenti, la persona interessante. Può essere che la si conosca bene o più superficialmente, che sia uomo o donna, familiare oppure no, il punto è che quando la si incontra, si ha piacere di passarci del tempo insieme. E non perché abbia qualcosa di così importante da dire, ma per come lo dice. Perché riesce a darti un punto di vista, una prospettiva che ti rende il mondo più vicino e con una voce, un’intonazione che ti affascina, tanto che staresti lì ore ad ascoltarlo. Certo: ci sono occasioni in cui è più brillante, altre meno, ma, comunque, per te è sempre un piacere stargli vicino, anche se spesso quello che racconta è doloroso, a volte anche tragico, però va bene, anzi, ti aiuta a vedere meglio dentro te stesso.
Ecco, credo che Carrère abbia proprio questo dono e che ogni suo lettore abbia la sensazione che lo scrittore si stia rivolgendo proprio a lui e a nessun altro. Come scrive ‘Le Monde’: “Questo scrittore riesce ad ammaliarci con la favolosa fluidità della sua prosa, con quel tono amichevole, quasi fraterno, che è soltanto suo, con il suo raccontarsi quasi che si rivolgesse, personalmente, a ciascuno dei suoi lettori.”
La parabola di questo autore ha due fasi distanti, con una cesura rappresentata dall’anno 1995: è questa la data di pubblicazione del suo ultimo libro di narrazione romanzesca ‘La Settimana Bianca’, uno dei suoi libri che, personalmente, apprezzo di più. Da quel momento lo scrittore decide di abbandonare la finzione e scrivere di se stesso, autobiografie che si legano a vari personaggi incontrati nella realtà, con una forte dose di ricerca documentaristica e piccole concessioni alla narrazione. Il primo esempio di questa nuova dimensione è rappresentato da ‘L’Avversario’, altro libro fondamentale e molto potente.
L’ultima opera di questo percorso è ‘Yoga’, un libro che avrebbe dovuto essere un testo di presentazione di una disciplina che l’autore pratica da moltissimi anni, con l’intento di non essere un saggio, ma un “libro arguto e accattivante” per aiutare a comprendere meglio una pratica fisica e mentale apparentemente complessa, in realtà abbastanza semplice, almeno nella sua strutturazione. Il punto è che quei demoni interiori, le “vritti” nel linguaggio indiano, le fluttuazioni mentali che ci scombussolano la mente, e che lo scrittore credeva di aver calmato, anche e soprattutto con il Tai-Chi, la Meditazione, lo Yoga, improvvisamente tornano a sovrastarlo, lo sconquassano, fino a venir rinchiuso in un ospedale psichiatrico, curato anche con sedute di elettroshock, ben quattordici, prima di essere rimesso in carreggiata, curato e riportato nel mondo fuori con la diagnosi di “soggetto affetto da disturbo bipolare di tipo II”, una depressione, quindi, tendente più alla fase euforico maniacale che a quella inattiva e immobilizzante.
Non nascondendo niente, come sempre fa, Carrère ci guida in un viaggio sofferto e drammatico nella sua vita, negli ultimi dieci anni, costellati da situazioni al limite della sopportabilità umana.
Ammetto, onestamente, che non è il libro che mi è piaciuto di più di Carrère, ma è sicuramente quello più generoso, più aperto, nel senso che lo scrittore si mette veramente a nudo, mostrando gli aspetti meno edificanti di se stesso, ottenendo un effetto importante e prezioso: quello di trasformare la sua singola esistenza, individuale e unica, in una parabola della sofferenza umana, della difficoltà, che è di tutti, di trovare e mantenere un equilibrio duraturo e sereno con se stessi e, di conseguenza, con gli altri.
Libro, quindi, da conoscere e non dimenticare. Buona lettura.