di Enrico Pompeo
me li trovavo di fronte nelle perlustrazioni degli scaffali delle librerie, facevano capolino nei discorsi di amici, mi venivano consigliati da conoscenti, rinomati per essere dei grandi lettori. E poi mi piacevano molto le copertine. Ho iniziato; non ho smesso. Si parla di una città immaginaria e dei suoi abitanti.
Il primo parla di un declino, di un’esistenza che piano piano si spenge; il secondo della nascita; il terzo delle pieghe improbabili di ogni vita. Già sentito, letto, visto…eppure…la qualità di una scrittura che ti rimane dentro è quella di emozionarti, senza cadere nel sentimentalismo, di offrirti più domande e riflessioni, che risposte; di saperti raccontare senza eludere troppo ma anche non affaticando la prosa con digressioni e commenti che rallentano; di costruire personaggi veri, non soltanto verosimili; di sorprenderti, senza gigioneggiare; di farti chiudere la pagina sentendoti più consapevole, diverso, ma non del tutto distante da quello che hai visto scorrerti davanti agli occhi. È difficile, quasi impossibile. Haruf, con me, ci è riuscito. C’è tutto, ma mai troppo. Accennato, non gridato. C’è molto silenzio, con tante suggestioni tra le righe, come solo i veri libri sanno dare. Sono storie, isolate tra loro, ma che compongono una melodia unica. Un lavoro dolce e struggente, malinconico e pulito. Si respira la polvere dei luoghi lontani, il vento insistente, ma non burrascoso dei pomeriggi senza tempo. Racconti che parlano di un posto che non esiste, ma che potrebbe essere proprio quello in cui viviamo. Non ci sono corse, urla, grida. Non è uno scrivere potente, trascinante, assordante. È un fiume. Ma se c’entri, vuoi andare fino in fondo. Perché ti porta a conoscere di più e molto più a fondo. I fratelli Harold e Raymond, due allevatori, vecchi, soli, che rimangono lì, senza aspettarsi niente, senza paura, a vivere le loro giornate. Sembra un affresco. È un libro pittorico, quasi fotografico. Istanti segnati, presi e scolpiti. Come un quadro che, lentamente, prende forma e si racconta a chi avrà il tempo di ascoltarlo. A me è capitato. Sono contento. Evviva!