Se il primo incontro l’ho dedicato agli articoli uno e due, con una salto all’undici, per rimarcare l’impegno per la pace nella collaborazione tra i popoli, ora Ricomincio da tre, come suggerisce l’indimenticato Massimo Troisi.
Proviamo a rileggere l’art. 3 mettendo “persone” in luogo di “cittadini”. Art. 3: “Tutte le persone hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza delle persone, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Mi pare suoni proprio bene, anzi benissimo. Ma non sarà un compito troppo gravoso per la Repubblica? Sì, se resta chiusa nella sua “sovranità” miserabile. No, se attiva e approfondisce, come deve e l’art.11 prevede, la collaborazione con gli altri Stati in un orizzonte internazionale e, intanto, si impegna a rendere pienamente operante – federale e democratica – l’Unione Europea.
È tornato con la parola lavoratori un riferimento al lavoro sul quale, art.1, la Repubblica è fondata. È il momento dunque di passare all’art.4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Anche qui sostituire persone e persona a cittadini e cittadino migliora il testo e non appare infondato. La dichiarazione dei Diritti dell’Uomo infatti, già si è detto nel primo incontro, all’articolo13 stabilisce la libertà di emigrare e all’articolo 14 il diritto di cercare e ricevere asilo in un altro Paese dovendo abbandonare il proprio. Puntualmente la Costituzione con l’articolo 35 riconosce la libertà di emigrazione e tutela il lavoro italiano all’estero. Non può che riconoscere quella d’immigrazione e tutelarne il conseguente lavoro in Italia. Così l’articolo 10 della Costituzione: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.
Una riflessione sul servizio civile che i volontari compiono. Non è più riconosciuto come lavoro. A un certo punto, per risparmiare, si è tolta la contribuzione pensionistica. Sempre per risparmiare si tolgono fondi e – forse si fa per scherzare – lo si è chiamato Servizio civile universale. A far così si risparmia solo la produzione di cittadini responsabili, dei quali c’è tanto bisogno. Già in tempo di guerra, mentre se ne stava al confino, Ernesto Rossi studiava e proponeva un lavoro per tutte e tutti, ragazze e ragazzi, in luogo del servizio militare. Un periodo biennale, a conclusione del ciclo di studi, con l’obiettivo di abolire la miseria, garantendo servizi gratuiti necessari alla vita. Il servizio civile, figlio dell’obiezione di coscienza, dovrebbe riprendere quell’ispirazione.
Se continuiamo a cercare le parole lavoro, lavoratore, lavoratrice in Costituzione ci rendiamo conto della distanza tra quanto nella stessa è scritto e la realtà con la quale i giovani si confrontano. Non si vedono politiche tese a rendere effettivo il diritto la lavoro, almeno quello previsto in Costituzione, tutelato “in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35), con “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità …in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36), quello nel quale la “lavoratrice ha gli stessi diritti”, ed è particolarmente tutelato “il lavoro dei minori” (art. 37), e così via ribadendo e tutelando l’esercizio del diritto al lavoro e la sua sicurezza, fino all’articolo 120. I giovani conoscono un lavoro certo multiforme e diversamente applicato, ma precario, mal retribuito, del tutto insufficiente a garantire “esistenza libera e dignitosa”, mentre il lavoro femminile e quello minorile sono i più sfruttati e i meno retribuiti e, quanto alla sicurezza, “Il lavoro è una strage: 17mila morti negli ultimi dieci anni”, leggo in un titolo di giornale. Sarebbero più di millecinquecento all’anno. Tanti, troppi. Forse è giusto pure ricordare che negli anni ‘70 e ‘80 addirittura la media era di tre-quattromila vittime ogni anno e negli anni ’60 e 70 quattro-cinquemila.
Non possiamo farci molto – si dice – è l’economia globale, sono i mercati a decidere dove creare e distruggere occupazione, i poteri pubblici possono solo cercare di attrarre gli investimenti, accettarne le condizioni, lenire le sofferenze più acute. Non è proprio così. Di fronte a padroni dal potere selvaggio e assoluto i lavoratori, in secoli e decenni di lotte ed esperienze, hanno costituito sindacati e cooperative, come la Costituzione ha riconosciuto. Padroni internazionali, altrettanto assoluti e selvaggi, possono trovare risposte internazionali a partire da un diritto del lavoro unico, intanto a livello europeo, da sindacati, intanto europei, in un’azione capace di cominciare a fronteggiare le enormi diseguaglianze di ricchezza e potere.
Leggo dal Sole 24 Ore, inizio dell’anno Rapporto Oxfam: “A dieci anni dalla crisi finanziaria i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. L’anno scorso soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2017 queste fortune erano concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nella tasche di 61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile. Una situazione che tocca solo i paesi in via di sviluppo? No, perché anche in Italia la tendenza all’aumento della concentrazione delle ricchezze è chiara”. Europei e migranti hanno esperienza, anche dolorosa, dei limiti degli Stati nazionali e della prepotenza dei padroni dell’economia. Sono decisivi per collocare in un orizzonte più ampio e appropriato le promesse della nostra Costituzione. Se non in questi giovani che ho davanti, in chi posso confidare?