In una lettera al giornale catalano LaVanguardia Raquel un’educatrice sociale di Ripoll, che ha visto crescere alcuni dei componenti della cellula terrorista, si dichiara distrutta dal dolore per il massacro e propone l’educazione alla nonviolenza (traduzione di Antonella Iovino e Annachiara Pugliese).
Voglio spiegare cose che non usciranno sui giornali o alla televisione. Ho bisogno di gridarlo ai quattro venti, perché il mio cuore è molto triste, molto.
Non ho mai avuto un’emozione così forte come questa, perché non è razionale, non viene da qualcosa che sta arrivando o che fa parte della vita.
Viene da un altro posto che non sono nemmeno capace di descrivere.
Questi bambini erano bambini come tutti. Come i miei figli, erano bambini di Ripoll. Come quello che puoi veder giocare in piazza, o quello carico di uno zaino enorme di libri, quello che ti saluta e che ti lascia passare avanti nella coda al supermercato, quello che diventa nervoso quando gli sorride una ragazza.Sto male al pensiero delle scintille che accendono odio nella rete, per strada, nel paese dove vivo, nei giornali…
Dove si mostra l’ignoranza, il rancore, l’indifferenza, la mancanza di rispetto verso il prossimo, le ragioni, i confini, il girar la testa dall’altra parte, il non sapersi mettere nei panni dell’altro.
E questo si ripete, secolo dopo secolo, anno dopo anno. Che cosa stiamo sbagliando? Dobbiamo fermare tutto ciò. Dobbiamo fare qualcosa. Ed io che credevo di farlo bene, di aver contribuito facendo la mi parte…
E’ vero che non lo avevo mai vissuto in prima persona e questo ha fatto in modo che io abbia cambiato il punto di vista. E adesso che lo vedo dall’altra parte sono in frantumi.
Le cose che si vedono alla televisione o dall’altra parte del mondo, sono cose che finiscono per diluirsi dimenticate, e non si sa se siano vere, reali. E abbiamo finito col guadagnare l’ira, la rabbia e nvocare “l’occhio per occhio, dente per dente”, per punire quei fatti.
Ora ho una sentimento che sfugge…
Mi fa star male vedere il mosaico di Mirò macchiato di sangue. Mi fa soffrire vedere che è nella mia città. Mi fa male pensare che potrei aver avuto conoscenti e familiari sulla Ramblas, dove camminando ho consumato più di un paio di suole.
Mi fa soffrire che siano stati loro…
Non posso contenere le lacrime. Di più, non ho potuto smettere di piangere dal primo giorno e so che mai potrò smettere di farlo. Sono lacerata, distrutta dentro.
So che in questi giorni il sostegno va alle vittime, va ai figli perduti, alle famiglie distrutte, alla città in lutto.
Però permettetemi di mostrare l’altra faccia della moneta, quella che non si vede sui giornali, quella che non piange in pubblico, quella che in silenzio asciuga le lacrime perché pare che non sia bello farsi vedere piangere per loro.
Mi permetta di raccontarle come erano loro, o per lo meno i bambini che conoscevo io. I miei ragazzi di Lokal. Mi dà forza.
Ho lavorato quasi tutta la mia vita, adesso ho 41 anni, nel mondo del sociale, sulla strada, nelle trincee come diciamo noi. Niente altro che sulla terra a Ripoll, iniziai a lavorare con un gruppo di giovani, però avevo ragazzini di quasi tutte le età, si aiutavano gli uni con gli altri.
Il più piccolo aveva 8 anni e arrivava sempre per mano di suo fratello, un ragazzo educato, timido, adorabile, un bravo studente, tranquillo, a scuola non si metteva mai nei guai.
Un ragazzino che mi offriva sempre un sacchetto con biscotti o caramelline acquistate con i pochi soldi che aveva.
C’erano due fratelli che si picchiavano sempre. Il più grande arrossiva quando vedeva entrare la ragazzina che gli piaceva, anche se non è mai arrivato a dirle una parola. Si comportava bene quando lei era lì.
Alla fine arrivarono molti ragazzi di Nador, molti impararono le loro prime parole ed anche quello che non si doveva dire: rispondere con insulti. Anch’io ne imparai nella loro lingua.
E naturalmente, poi arrivarono i fratelli, le nuove generazioni. I birichini, quelli con gli occhi vivaci e il sorriso sulle labbra.
Tutti stavamo crescendo e superando delle tappe. Si soffre durante l’adolescenza, mamma mia! Tra brufoli, punti neri, testosterone e sogni da realizzare. Ricordo ancora le lunghe chiacchierate in ufficio. Raquel ho bisogno di parlare con te… e lì facevamo le nostre chiacchierate e parlavamo del futuro. Pilota, maestro, collaboratore di una ONG. Come ha potuto sfumare tutto questo? Cos’è successo? Quando?
Che cosa facciamo perché queste cose accadano! Eravate cosí giovani, tanto pieni di vita, avevate una vita davanti…e mille sogni da realizzare.
Adesso non potrò dire quanto siete belli, o hai una fidanzata? O, mamma mia come sei cresciuto. Non potrò vedere i vostri figli, come faccio con gli altri. Non potrò abbracciarvi… Mi fa molto male. Non posso crederci.
Questa non può finire come una delle tante storie, dobbiamo imparare, dobbiamo costruire un mondo migliore. Praticando l’esempio, educando alla nonviolenza, insegnando a non odiare, l’uguaglianza. Educando nelle scuole, negli spazi aperti, nelle famiglie, i nostri figli…
Mi rimangono molte cose dentro e molte immagini che non dimenticherò mai.
Said, Moha, Moussa, Youssef, Omar … Younes … Adesso Houssin … (è un incubo, una lista sempre più lunga)
Come può essere Younes …? Mi tremano le dita, non ho visto nessuno così responsabile come te …
Le cose che avete fatto non hanno una spiegazione e non sono lecite … la guerra l’ira, l’odio non portano da nessuna parte. Mai, in nome di nessuno. Ne per nessuno. Ne’ dei, ne’ bandiere, ne’ religione … Posso solo dire che ho il cuore spezzato…