Del paese sento notizie per qualche prodezza del suo presidente sultano nei confronti, di volta in volta, dell’Europa, della Russia e pure degli Usa. A una politica estera aggressiva e spregiudicata accompagna una crescente stretta autoritaria all’interno. Il compassato Draghi l’ha chiamato dittatore
Dell’Unione Europea sembra gli interessino solo i soldi che riceve per il lavoro sporco nei confronti dei migranti. O, se vogliamo dirlo in modo più elegante, “l’Unione Europea e la Turchia hanno riconfermato il loro impegno comune a porre fine alla migrazione irregolare dalla Turchia all’UE, a rompere il modello di business dei trafficanti e offrire ai migranti un’alternativa per non mettere a rischio le loro vite”.
Non è stato sempre così. Nel 1987, la Turchia chiede di aderire alla Comunità economica europea. Nel 1999 l’Unione Europea, succeduta alla Cee, la dichiara ammissibile. I negoziati di adesione sono iniziati nel 2005 e la Turchia sembra accogliere di buon grado le indicazioni dell’UE. Addirittura si dota di un ombudsman (mediatore, Difensore civico) organo di garanzia dei cittadini, raccomandato dall’UE, nei confronti della pubblica amministrazione. Lo incontro, un giovane serio e coi baffi, a Madrid una decina di anni fa a una riunione dell’Association des Ombudsmans de la Méditerranée. Io, su delega dei colleghi difensori regionali, rappresento l’Italia. Quando ci sediamo mi trovo, per via dell’alfabeto e come Italy, tra i difensori di Israel e Jordan. Chissà se c’è ancora il Difensore turco e cosa fa. Ne avrebbe da fare.
Ha fatto parlare il caso della presidente della Commissione europea lasciata in piedi all’incontro di Ankara. Si è poi seduta su un sofà, tutto per lei, con il vantaggio della comodità e della distanza. Ursula von der Leyen non ha motivo di lamentarsi. Le è andata bene. Erdogan ha deciso l’uscita dalla convenzione internazionale contro la violenza sulle donne, in sintonia con un sentire diffuso. Per l’uccisione di donne le pene applicate sono spesso minime. I femminicidi sono frequenti. La popolazione turca è una volta e mezza scarsa quella italiana (85 milioni contro 60). Le donne uccise, vedo le cifre del 2019, sono quattro volte: 440 contro 111.
La Turchia manovra in modo inquietante nel Mediterraneo, allarmando soprattutto Grecia e Cipro. Interviene militarmente e duramente in Siria per far strage di curdi. Usa pure i disperati profughi siriani come mercenari sia in Libia che in Caucaso. In questi luoghi Turchia e Russia sono su fronti opposti. Il conflitto del Nagorno-Karabakh ha radici lontane. Cento anni fa gli armeni erano il 98% della popolazione della regione. Con il crollo dell’Unione sovietica nei primi anni Novanta c’è stato uno scontro tra armeni e azeri per il controllo del territorio, concluso con gli armeni in vantaggio sugli azeri. Questi si sono rifatti recentemente con l’aiuto della Turchia, popolo fratello.
Parlare turco
Insomma Erdogan parla turco, ma si fa intendere perfettamente in casa e fuori. Certo con i turcofoni si intende meglio e può prospettare un sogno comune. Già il suo porsi come riferimento per i paesi arabi mediterranei e balcanici richiama l’impero ottomano. Il disegno si precisa nei confronti dei popoli di lingua turca. Da tempo si stringono legami militari, economici, culturali e di collaborazione politica verso un’unione fino al confine con la Cina. Già si è detto del deciso sostegno agli azeri. Il blocco dei paesi turcofoni conosce una fastidiosa interruzione dovuta all’Armenia. Anche tra paesi che rientrano nel piano di Erdogan non mancano conflitti, come quelli di confine tra kirghisi e uzbechi. Ma le ragioni di unità possono prevalere soprattutto per le giovani generazioni meno coinvolte in vecchi conflitti etnici. L’attrazione della “grande Turchia” non ha solo motivi economici e militari, ma culturali. È grande lo sforzo per promuovere istituzioni educative anche di livello universitario nei diversi paesi e mettere pure a disposizione posti nell’università turca per i giovani di quei paesi.
Un luogo di confronto anche politico è il Consiglio dei popoli turchi. Ne fanno parte Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Turchia, Uzbekistan. In un articolo di “Civiltà cattolica” leggo come tale prospettiva sia stata nitidamente prospettata da Erdogan al termine di una riunione del 2019: “Parliamo sempre di una nazione in due Stati (la Turchia e l’Azerbaigian). Ieri ho detto che siamo diventati una sola Nazione in cinque Stati. A Dio piacendo, anche il Turkmenistan si unirà a noi e diventeremo una sola Nazione in sei Stati, rafforzando la nostra collaborazione nella regione”.