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Cui prodest? A chi giova la licenza di uccidere, detta “legittima difesa”?

DiPasquale Pugliese

Mag 7, 2017

Tante paure arrivano nella nostra vita già con i loro rimedi,
di cui abbiamo tante volte sentito parlare,
prima ancora che i mali che essi promettono di curare
abbiano fatto in tempo a spaventarci.
Zygmunt Bauman

E così – con il voto favorevole di Partito democratico, Area popolare e Civici e innovatori – la Camera dei Deputati ha approvato la legge sulla cosiddetta “legittima difesa” che, sostanzialmente, depenalizza l’uso delle armi nei confronti di chiunque si intrufoli in casa “di notte” o “con inganno”. Se questa “introduzione in casa” causa “grave turbamento psichico” (e come potrebbe essere diversamente?) la “colpa dell’agente è sempre esclusa”, a priori. Si tratta, di fatto, della licenza di uccidere per tutti, di un salto di qualità negativo nella civiltà giuridica, per giunta controproduttivo rispetto all’obiettivo dichiarato di aumentare la sicurezza dei cittadini. La rincorsa all’emergenza securitaria evocata dagli imprenditori della paura – vera ratio di questa legge – è essa stessa generativa di insicurezza diffusa, anziché del suo contrario.

Già il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Eugenio Albamonte, ha dichiarato che questo intervento legislativo “è molto caratterizzato dall’esigenza di assecondare una sensazione, una percezione all’interno della società, ma il legislatore non deve assecondare gli umori”. Anche perché gli umori assecondati sono del tutto avulsi dai dati di realtà: il numero degli omicidi commessi nel nostro Paese scende costantemente da 25 anni, essendo passato dagli oltre 3.000 del 1992 alle poche centinaia degli ultimi anni. Lo stesso ministro Angelino Alfano – nella tradizionale conferenza stampa dello scorso ferragosto – aveva vantato i dati del notevole calo di reati, tra il 2014 e il 2016, non solo degli omicidi (- 11,3%), ma anche delle rapine (- 10,6%) e dei furti (- 9,2%). Dunque, cui prodest, a chi giova, questo imbarbarimento delle norme che già regolamentavano la “legittima difesa” (art. 52 del Codice penale)?

“Tante paure arrivano nella nostra vita già con i loro rimedi, di cui abbiamo tante volte sentito parlare, prima ancora che i mali che essi promettono di curare abbiano fatto in tempo a spaventarci”, scriveva Zygmunt Bauman, nel suo saggio del 2006 Paura liquida. In questo caso il rimedio, implicitamente suggerito dalla legge e fondato sull’impunità garantita a chi si fa giustizia da se, è la corsa all’acquisto di armi pronte all’uso. Com’è ovvio, e come ribadisce l’Osservatorio permanente sulle armi leggere, la diffusione delle armi favorisce gli omicidi, anziché limitarli.  “Come mostrano anche i casi di cronaca recente che OPAL sta raccogliendo in uno specifico database, sono infatti numerosi gli omicidi, i femminicidi, i tentati omicidi, i suicidi e i reati compiuti da persone che detengono legalmente le armi. E, contrariamente al diffuso luogo comune, la legislazione italiana è di fatto sostanzialmente permissiva in materia di detenzione di armi: oggi, a qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è generalmente consentito di possedere una o più armi, finanche un numero illimitato di fucili da caccia.” Quel che mancava era l’incentivo, che adesso è arrivato.

Promuovere la sicurezza dei cittadini dando loro licenza di uccidere è lo stesso contro-senso che invocare la pace armandosi fino ai denti e moltiplicando le esportazioni di armamenti. E, non a caso, il governo fa anche questo: nel 2016 ha raddoppiato le autorizzazioni per l’export di armi italiane rispetto al 2015, già triplicato rispetto al 2014. A dispetto del mondo che brucia nelle guerre e del terrorismo internazionale che si espande, il commercio bellico italiano è passato nel giro di due anni da 2.9 miliardi di euro a 14.6 miliardi di euro. Anche verso Paesi in guerra come l’Arabia Saudita, in violazione della legge 185/90 che regolamenta il commercio delle armi. La domanda è, ancora una volta, cui prodest? A chi giova? Tanto nel caso della licenza di uccidere, chiamata “legittima difesa”, quanto in quello dell’export di armamenti, l’unico soggetto ad avvantaggiarsene è chi fa profitti con la produzione e il commercio delle armi. E’ l’industria bellica nazionale che – con la complicità dichiarata delle forze di governo – sta avendo un boom senza precedenti dei propri profitti sui mercati internazionali. E adesso ha deciso di fare boom anche nel mercato interno, fornendo il rimedio alle paure indotte e – adesso – legittimate anche dalla legge. Avanti così, verso la barbarie.

A meno che non si cambi radicalmente paradigma di difesa – sia sul piano interno che internazionale – passando alla “difesa civile non armata e nonviolenta”, quella promossa dalla campagna Un’altra difesa è possibile, che ha tra i suoi obiettivi principali proprio la riconversione civile dell’industra bellica. E dunque la costruzione della vera sicurezza, quella che giova a tutti.

Di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line).

1 commento su “Cui prodest? A chi giova la licenza di uccidere, detta “legittima difesa”?”
  1. PER UNA LEGITTIMA DIFESA INTELLIGENTE
    Viviamo in un clima sempre più confuso nella politica nazionale pasticciata e urlata. Un altro esempio lo abbiamo avuto questi giorni sulla questione della legittima difesa che nasce, nella proposta, a fasce orarie ed ha creato rabbia e smarrimento nella gente. Personalmente sono contrario alle armi, piccole, medie, grandi; sono contro tutte le sputafuoco, comprese le innocue scacciacani. Ho fatto il servizio militare quasi cinquant’anni fa, con una consapevolezza diversa, ho sparato con diversi fucili, mitragliatrice e pistole. Sono cresciuto con un padre che era nella polizia, e tutte le sere, al rientro a casa, toglieva la sua Beretta 7,65 dalla fondina e la chiudeva in un cassetto. In tutto questo non mi sono mai sentito più sicuro dalla presenza di una pistola in casa, ma nemmeno dalla capacità indubbia di mio padre di saperla usare. Certo, erano altri tempi e anche la criminalità era meno estrema e violenta. Ma un fatto per me rimane costante nei pensieri comuni: – l’idea che avere una pistola possa farci sentire più sicuri! Sono convinto che non basta indossare una maschera e si diventa Highlander o un supereroe mettendo “Ko” l’intruso nella propria casa. La nostra risposta di vittime è sempre emotiva; mentre chi agisce in modo criminale dalla sua ha: la freddezza, il calcolo, e una certa “professionalità malvagia” . Molto meglio la legittima difesa passiva come: affidarsi alla tecnologia, ai sistemi anti-intrusione, alle serrature innovative, ad una rete amicale di vicinato, ad una pratica di Krav Maga come difesa personale. Un mio caro amico e la sua famiglia hanno vissuto questa paurosa esperienza. Di notte alcuni individui entrarono in casa per rubare, lui reagì e fu picchiato duramente. Ma oggi è ancora vivo e contento di veder crescere i suoi nipoti; una volta mi confidò che la paura vissuta lo aveva quasi paralizzato, e non gli avrebbe permesso di trovare un’arma nel caso l’avesse posseduta. Vorrei concludere con la speranza che il sistema giuridico si orienti finalmente verso la “certezza della pena”, di cui il nostro Paese ha sicuramente bisogno. Questo sarebbe l’efficace legittimo deterrente, in cui la politica seria dovrebbe agire. Inasprendo anche le pene per i reati contro le persone; piuttosto che avvelenare gli animi con la paura creando un clima da Far West.
    Guglielmo Loffredi

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