Alla vigilia della Giornata internazionale della pace (21 settembre), voluta dalle Nazioni Unite – il cui tema quest’anno è stato “coltivare culture di pace”, che non significa assenza di conflitti ma capacità di risolverli senza il mezzo incoerente della guerra – il Parlamento europeo ha votato a maggioranza una risoluzione che cancella i limiti all’utilizzo dei missili forniti all’Ucraina. Ossia la possibilità di colpire con le armi a lunga gittata dei paesi dell’Unione Europea direttamente il cuore del territorio russo. In sostanza il Parlamento europeo è passato dal sostegno al governo ucraino, in funzione difensiva, a dichiarare in/direttamente guerra alla Russia. Un delirio bellicista che non solo ribalta il progetto di pace con il quale l’Europa unita era stata pensata già a Ventotene durante la Seconda guerra mondiale, ma alza il livello di coinvolgimento nell’escalation gettandoci di fatto in una nuova guerra mondiale. Anziché aprire e condurre il negoziato di pace.
Un dilagare di incoscienza e irresponsabilità, mitigate solo dai voti contrari di alcuni parlamentari, tra i quali diversi italiani. Voto coerente per chi si è espresso sia contro l’articolo 8 del testo, specifico sulla rimozione delle restrizioni all’uso delle armi europee dentro la Russia, che contro la risoluzione finale che lo ricomprendeva: i parlamentari di Alleanza Verdi e Sinistra, Movimento 5Stelle e Lega (che ha molte altre incoerenze strutturali con i temi della violenza e della nonviolenza). Incoerente per chi ha votato contro quello specifico articolo, ma ha invece approvato la risoluzione completa: FdI, FI, e PD salvo Strada e Tarquinio che si sono astenuti (mentre Picierno e Gualmini hanno votato si anche all’articolo 8). Questa complessa geografia nel voto dei parlamentari europei italiani rappresenta plasticamente l’imbarazzo crescente nel rappresentare nelle Istituzioni l’opinione pubblica italiana che – nonostante anni di martellamento mediatico bellicista – vede chiaramente la follia nell’escalation bellica in Europa e il doppio standard tra la “difesa” dell’Ucraina e quella della Palestina.
A cominciare dall’impegno antinucleare, perché si spendono somme folli per le testate nucleari – delle quali diverse decine stoccate anche in Italia, nelle basi statunitensi della pianura padana – invece di destinare queste risorse ai bisogni urgenti dei cittadini e del pianeta. Lo ha sottolineato in questi giorni anche l’azione No Money for Nuclear Weapons, nella settimana di azione globale contro la spesa nucleare, a cura della campagna ICAN e rilanciata da Rete Italiana Pace e Disarmo. Nel 2023 la spese per le sole armi nucleari sono state di oltre 91 miliardi di dollari (dei quali 51,5 dei soli Stati Uniti), ossia 173.884 dollari al minuto, 2.898 dollari al secondo per un totale di 12.121 testate nucleari.
Che cosa significhi questo in termini di risorse sottratte agli investimenti civili e sociali è presto detto: un secondo di spesa per le armi nucleari potrebbe fornire 16.994 vaccini contro morbillo, parotite e rosolia; un minuto costa quanto piantare 1 milione di alberi; un’ora quanto la conversione di 535 case all’energia solare; un giorno quanto la costruzione di 125 campi da calcio comunitari; una settimana di spesa per le armi nucleari potrebbe fornire a 27 milioni di persone acqua pulita e servizi igienici per un anno; con un anno si potrebbero sfamare 45 milioni di persone che rischiano la carestia per 13 anni.
Ogni dollaro sperperato per le armi nucleari rappresenta dunque un tradimento dell’umanità, sia distogliendo risorse dall’affrontare le sfide urgenti per risolvere le cause della crisi sistemica globale, sia trascinandoci nel baratro dell’apocalisse. Mantenere o eliminare le armi nucleari è una scelta che i governi possono fare, smantellandole e ratificando il Trattato internazionale che le proibisce, se i gruppi civili di pressione dal basso agiscono efficacemente con continuità, consapevolezza e visione politica. Anziché lasciare il campo al delirio bellicista.