Se c’è una persona cui la frase “prima le donne e i bambini” si attaglia alla perfezione, questa è Daniele Lugli. Raramente, parlando di nonviolenza, mancava di citare la trasformazione della condizione femminile in Italia negli ultimi sessant’anni come l’unica, vera rivoluzione nonviolenta che avesse conosciuto, portata avanti – aggiungeva sempre – prima di tutto con la fatica e il dolore delle donne, e mai in modo definitivo. Quanto ai bambini il suo amore per loro, la capacità di incantarli con le storie che raccontava e per come li stava ad ascoltare, erano alcuni dei tratti che maggiormente lo caratterizzavano.
Ai più piccoli ha dedicato numerosi iscritti. Forse il più bello è la rilettura del decalogo di Gianfranco Zavalloni sui “Diritti negati dei bambini e delle bambine” che si può leggere anche su questo sito, nella prima e seconda parte, ma qui c’è pure il suo racconto “Cai, il tigrotto e il calzolaio”, e molto altro. Basta spulciare.
Con delicatezza e attenzione Daniele Lugli si è rivolto ai giovani in modo non comune, sicché tante e tanti delle generazioni a lui successive in questi giorni ne hanno scritto chiamandolo “Maestro” e “Amico”, chiedendo come poterlo salutare. Ho bene in mente con quanta attenzione e amore li incontrava. Accettava ogni invito aldilà della stanchezza, che si trattasse di una classe, una platea o un gruppetto sparuto di ragazzi e ragazze interessati alla nonviolenza ma anche alla storia, ai diritti umani, alla politica, all’antifascismo, alla guerra, all’ambiente, alla costruzione di un mondo più giusto. A loro si rivolgeva con la fiducia e la pazienza del seminatore e di semi ne ha piantati veramente tanti, nella formazione, nella scuola, nel volontariato, nelle “150 ore”, nell’università, in ogni ambiente e in ogni tempo della sua vita.
Sono stata nei paraggi di Daniele per metà della mia. Lungo anni preziosi ho avuto il privilegio di ascoltarlo, di accompagnarlo in altre città per tenere corsi o conferenze favorendogli il viaggio, dal momento che non aveva la patente (“Quando avevo 18 anni mio padre mi ha iscritto a scuola guida. Io l’ho ringraziato e gli ho detto che non potevo andare perché avevo altri impegni. «Cosa vuoi fare?», mi ha chiesto. Gli ho risposto che stavo iniziando un corso di paleografia antica…”).
Ho avuto la fortuna e il dono di condividere con lui progetti e iniziative, di lavorare insieme e insieme fare festa, entusiasmarci o indignarci; insieme spartire i momenti più duri, lo scoramento che pure c’era, e il privilegio di leggere in anteprima l’uno gli scritti dell’altra.
Senza l’incontro con lui, semplicemente la mia vita tutta sarebbe stata diversa, sarei diversa io, non so chi e non so come ma certamente e radicalmente altro da ciò che sono. Non avrei letto Aldo Capitini e non lo avrei sentito maestro affettuoso come Daniele me lo ha trasmesso; ignorerei il Movimento Nonviolento probabilmente, certo non saprei nulla di Silvano Balboni o di Danilo Dolci, non mi commuoverei leggendo Giacomo Matteotti e avrei dato non so quale altra forma (o nessuna forma) al mio desiderio di una realtà trasformata, accogliente e giusta verso tutte le persone a partire dai più deboli.
Volgendomi ad altro, credo non avrei mai canticchiato canzoni come “Ghigliottina” o “Petrolio”, non avrei desiderato di imparare (malissimo) a stare a galla e non avrei accompagnato insieme a lui un’esperienza così bella come la piccola “Scuola della nonviolenza” che pervicacemente abbiamo portato avanti a Ferrara, settimanalmente e per diversi anni, insieme a amiche e amici indispensabili.
Non avrei preso la parola, senza il suo incoraggiamento paziente.
Non avrei avuto il coraggio di impegnarmi in tante cose belle che ho fatto e che faccio, e di attraversarne tante, brutte, che ho affrontato e devo affrontare.
Dolcissimo signore di leggerezza e conoscenza, ironia e candore, recita un tuo vecchio ritratto. Davvero se c’è una persona, tra quante ho conosciuto, capace di fiducia, rispetto, comprensione, ascolto, sacrificio, coraggio, fermezza, esercizio costante del dubbio, bontà profonda, vera attenzione, impagabile ironia e profondissima cultura, amore per la verità anche a costo di ferire o di lacerarsi nelle contraddizioni, questo sei tu Daniele. Lo sei nella mia vita e nel tuo sguardo verso gli altri e verso il mondo, nel raggio immediato dei rapporti diretti e in quello larghissimo di tutte le cose umane, fino alle più distanti, guardate con passione politica nel più pulito dei significati possibili.
In questi giorni te lo stiamo dicendo in tanti e, credimi, non per la retorica obbligatoria che si usa verso chi non c’è più. Possiamo dirci anche di quando ti spazientivi, o eri caparbio, o preferivi mollare piuttosto che affrontare una discussione. Conosciamo la tua umanità imperfetta perché tu stesso ce l’hai fatta incontrare. Proprio per questo siamo qui a dirti che sei un uomo raro e prezioso.
La gratitudine che hai generato e il vuoto che ora resta sono immensi allo stesso modo. Ci vorrà tempo per decifrarli.
Siamo in tanti in questo momento a piangere Daniele Lugli, a ricordarlo, a pensare ai momenti in cui siamo stati con lui. Questo ci dà forza e ci fa sentire parte di una comunità di abbracci.
Vorrei che tutto il calore che ha donato lo raggiungesse, in qualunque luogo si trovi adesso, per dirgli che gli vogliamo bene in tanti e non ci piace stare senza di lui, ma se questa è la condizione allora lo disturberemo tanto, lo penseremo, gli chiederemo di ascoltarci ancora, di indicarci ancora una direzione possibile, perché siamo tutti più poveri e soli e smarriti ora che lui non c’è.
Non so dire come e quando – c’è un tempo necessario per decantare il dolore e occorre rispettarlo – ma sarebbe bello trovare mille modi per restituirgli almeno un po’ di quello che abbiamo ricevuto da lui.