Dal 1 ottobre in Iraq è iniziata una nuova fase di proteste sociali, questa volta autenticamente spontanee e difficili da controllare da parte delle forze politiche o da organizzazioni di società civile, ma gradualmente sostenute da una vasta parte dell’opinione pubblica e dai principali sindacati: ieri quello degli insegnanti ha lanciato uno sciopero generale di 4 giorni, quello degli avvocati incita alla disobbedienza civile, mentre gli studenti stanno occupando molte università nelle province del Centro-Sud e sono scesi nelle piazze in centinaia di migliaia.
Il movimento è nato da giovani disoccupati che rifiutano il sistema politico costituito dal 2003, chiedono fine della corruzione e delle quote settarie nella politica irachena, esigono posti di lavoro e redistribuzione della ricchezza. In grandissima parte sono nonviolenti, anche se nel Sud ci sono stati roghi di edifici di partiti politici e sedi del governo locale, iniziati dopo i cortei funebri delle prime giovani vittime. Per strada anche moltissime donne, a volte protette da cordoni di giovani uomini, a volte alla testa dei cortei.
Le proteste si sono diffuse a macchia d’olio in buona parte dell’Iraq federale, e nella prima settimana hanno visto circa 150 civili disarmati e 8 membri delle forze di polizia morire sotto i colpi di esercito e milizie, anonimi cecchini appostati sui tetti e blindati delle forze armate lanciati a massima velocità contro la folla, infiltrati e provocatori tra i manifestanti. Migliaia i feriti gravi, di cui non si hanno notizie certe perchè i medici negli ospedali sono stati diffidati dal rilasciare informazioni, ma molti sono in condizioni gravissime. Ad oggi il numero totale delle vittime civili è di oltre 250, di cui circa 15 solo a Kerbala nelle ultime 24 ore. La violenza si sta intensificando e richiede urgente attenzione da parte dei media e della comunità internazionale.
Difensori/e dei diritti umani da tutto il paese sono stati minacciati e intimiditi, o uccisi come Safaa al-Sarai ieri a Baghdad. Un’operatrice sanitaria è stata arrestata mentre curava i pazienti in un’ambulanza, un medico chirurgo mentre operava in ospedale, vari bloggers nelle loro case anche nelle città sunnite in cui la gente non osa manifestare, per paura di una repressione ancor più violenta. Gli uffici di molti giornali e televisioni sono stati devastati da raid delle milizie e i giornalisti picchiati, un avvocato è stato ucciso mentre andava ad incontrare un manifestante suo cliente. Almeno 30 Difensori/e dei Diritti Umani sono misteriosamente scomparsi, altri sono stati giustiziati a casa loro come una giovane coppia di Bassora. Nelle giornate trascorse dal 25 ottobre – il nuovo “giorno della rabbia” proclamato dai manifestanti per chiedere ormai le dimissioni del governo – l’altissimo numero di vittime non fa che accrescere la partecipazione al movimento e la disobbedienza civile anche da parte di famiglie con bambini.
Il 26 ottobre il governo ha decretato la pena capitale per chi inciti alla lotta armata sui social media, ma internet è piena di video che manifestano la creatività e la nonviolenza delle proteste. Alcuni membri delle Forze Antiterrorismo e della polizia locale hanno cercato di proteggere i ragazzi e spesso non è chiaro chi controlli la repressione. Il governo iracheno ha già promesso importanti riforme politiche ed economiche ma la popolazione non lo ritiene credibile ed è altamente insoddisfatta delle prime inchieste ufficiali sull’uso eccessivo della forza tra esercito e polizia.
Noi associazioni e centri studi italiani chiediamo la protezione dei Difensori e Difensore dei Diritti Umani, la fine dei coprifuoco e della censura su internet e sui media, il rispetto della libertà di espressione e del diritto a manifestare in modo pacifico per tutte e tutti le/gli irachene/i. I massacri sulle piazze come quello di Kerbala ieri non si possono ripetere. Chiediamo altresì alle ambasciate internazionali a Baghdad e alle Nazioni Unite di opporsi con più forza alla violenza della repressione. I giovani iracheni sanno che la democrazia non si esporta con la guerra ma si guadagna nelle piazze, e non torneranno a casa facilmente.
#Save_the_Iraqi _People
Roma, 29 ottobre 2019
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Aderiscono:
Rete della Pace
AIDOS
ARCI
Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII
Associazione per la Pace
Assopace Palestina
A Sud
Centro Diritti Umani e Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” (Università di Padova)
CISDA
CGIL
Cultura è libertà
Giuristi Democratici
Lega diritti dei popoli
MIR – Italia
Movimento Nonviolento
Terra Nuova
Unione degli Universitari
Un Ponte Per
Yaku