• 18 Dicembre 2024 15:05

Disertare la furia della guerra

DiCarlo Bellisai

Mar 1, 2022

Le abbiamo incontrate nelle manifestazioni per la pace che abbiamo promosso in questi terribili giorni di fine febbraio: chiedevano che l’Europa facesse qualcosa, qualunque cosa. Ma non siamo a disposti ad accettare nessun intervento militare europeo, sotto l’ombrello della NATO, che preluderebbe alla terza guerra mondiale, con probabili esiti nucleari. L’intervento dell’Unione Europea che vorremmo, sarebbe quello che spinga a chiedere un immediato cessate il fuoco, il conseguente arrivo di aiuti umanitari e negoziati immediati che trasformino la tregua progressivamente in vera pace, magari con la costituzione di una federazione ucraina, attraverso referendum popolari, che diano autonomie ai diversi territori, con rispetto delle minoranze. Ma sono solo ipotesi che, per il momento, ben pochi pensano di praticare.

 Intanto c’è la guerra, con tutte le sue atrocità: morte, distruzione, terrore, sfollamento. Cosa si può fare? Un coinvolgimento diretto di un paese della NATO potrebbe creare l’incidente che darebbe il via all’irreparabile. Le popolazioni europee e del mondo devono esercitare una pressione sui loro governi, affinché venga evitato un allargamento della guerra. Sono proprio le popolazioni, già stremate da due anni di emergenza pandemica, che sono chiamate a ridestarsi per dire no ad un’assurda guerra, scoppiata mentre tutti nel globo dovrebbero invece occuparsi di scongiurare la catastrofe climatica. Perché quello resta il più grande problema, che permane sullo sfondo di pandemie e di guerre e che i bambini e i ragazzi di oggi avranno in eredità.

Disertare la furia della guerra significa preparare la pace, il che va fatto prima che scoppi la guerra. Siamo arrivati già troppo tardi. Sapevamo che la guerra economica era in atto, che c’era quella su internet, che c’erano tanti focolai e tante armi costruite, testate e messe in campo. Chissà se siamo ancora in tempo, ma dobbiamo provarci.

Preparare la pace vuol dire cercare di costruire ascolto reciproco, nei conflitti quotidiani, in famiglia, sul lavoro, nelle associazioni; vuol dire sforzarsi creativamente di trovare soluzioni condivise. Significa fare educazione al conflitto e a come superarlo insieme senza perdenti; significa una scuola formativa e partecipativa, una sanità pubblica che previene e cura sul territorio, un’aria salubre e il diritto primario all’acqua, non solo pubblica, ma comune a tutti gli esseri viventi. Preparare la pace è impegnarsi per fermare la violenza sulle donne e tutte le forme di discriminazione, per il rispetto delle minoranze, per la giustizia sociale e il lavoro degno di questo nome. Significa costruire dal basso un modo diverso di convivere e cooperare, che non sia basato sul profitto e che non crei più emarginazione, povertà, apartheid, violenza: un modo comunitario di affrontare i conflitti in modo nonviolento e costruttivo. La pace non la si prepara certo fornendo armi, che otterrebbero soltanto lo scopo di prolungare morti e sofferenze: perché la guerra, qualunque guerra, ha sempre un solo perdente, la popolazione civile. Solo così potremo rispondere a questa e alle altre guerre, per costruire un futuro in cui le armi non abbiano più senso.

Carlo Bellisai

Di Carlo Bellisai

Sono nato e vivo in Sardegna. Mi occupo dai primi anni Novanta di nonviolenza, insegno alla scuola primaria, scrivo poesie e racconti per bambini e raccolgo storie d’anziani. Sono fra i promotori delle attività della Casa per la pace di Ghilarza e del Movimento Nonviolento Sardegna.

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