Il pensiero magico, che il recente Rapporto del Censis ha rivelato essere in grande spolvero nel nostro Paese, in realtà è diffuso ovunque nel mondo e dovunque, prima o poi, impatta contro i dati di realtà. Per esempio la più profonda, diffusa e perniciosa credenza irrazionale, quella che ritiene possibile garantire la sicurezza di tutti attraverso la corsa agli armamenti s’imbatte nei dati statunitensi che dis/velano (ossia dicono la verità) sul fallimento delle spese militari come strumento di difesa dei cittadini: gli USA che spendono da soli circa 800 miliardi di dollari in armamenti, ossia il quaranta per cento della spesa militare globale, crescenti anno dopo anno – sottratti anche agli investimenti nella sanità pubblica – hanno superato da pochi giorni gli 800.000 morti per covid-19, una cifra superiore a quella di tutte le vittime statunitensi delle guerre che hanno combattuto, dalla prima guerra mondiale ad oggi. Impreparati di fronte alle pandemie, che fanno più vittime della somma delle guerre, ma sempre preparati per le guerre. Iper-armati, ma sostanzialmente indifesi. Un caso di studio, anche psicopatologico, anziché un modello da seguire.
Ma in realtà il “pensiero magico” è il dispositivo attivato dai cittadini inermi come meccanismo di difesa per potersi af/fidare, in qualche modo, a questa incredibile narrazione che fonda la sicurezza della vita sulla infinitamente crescente spesa per gli armamenti, anche durante questa devastante pandemia. La diffusione sociale del pensiero magico fa da scudo ai concretissimi interessi del complesso militare-industriale, al fatturato con il costante segno più dell’industria degli armamenti, che ormai ha raggiunto globalmente circa 2000 miliardi di dollari annui (dati SIPRI). Al quale fornisce un importante contributo anche il governo italiano, con la lucida follia del presidente Draghi per il quale “le ultime esperienze internazionali” – anziché imporre un serio ripensamento dello strumento militare, come sarebbe razionale avvenisse – “hanno mostrato che ci dobbiamo dotare di una difesa più significativa: è chiarissimo che bisogna spendere molto di più di quanto fatto finora” (conferenza stampa del 29 settembre 2021). E si riferisce, ca va sans dire, alla difesa armata. Per cui, anche in Italia – mentre si alimenta la credenza popolare per cui attraverso crescenti spese militari garantiscono sicurezza e pace – in verità, come spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana pace e disarmo, “ciò comporta una vera e propria trasformazione del ruolo stesso del ministero della Difesa che da garante costituzionale dell’integrità territoriale del Paese, diventa un vero e proprio attore economico a servizio di uno specifico comparto” (Left, 17 dicembre 2021), quello degli armamenti.
In questo scenario, nazionale e internazionale, dove si è perso il lume della ragione – tranne quello della “ragione” economica dei profitti dell’industria bellica – fa finalmente la sua discesa in campo il pensiero scientifico: più di cinquanta tra premi Nobel, prevalentemente fisici, chimici, medici, e presidenti di Accademie delle scienze hanno firmato un appello inviato al Segretario generale delle Nazioni Unite ed ai presidenti dei cinque governi componenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) nel quale chiedono un taglio comune del 2% delle loro spese militari annuali, proponendo che la cifra così annualmente risparmiata venga dirottata su un fondo globale per la lotta contro il cambiamento climatico, le pandemie e la povertà estrema. Nel periodo 2025-2030, il “dividendo di pace” generato da questa proposta – pur modesta nella percentuale richiesta – supererebbe i mille miliardi di dollari: un importo paragonabile al totale degli investimenti in energia rinnovabile in tutto il mondo, e sei volte maggiore dei fondi disponibili per la ricerca e il trattamento di cancro, HIV/AIDS, TBC e malaria messi insieme.
Questo appello che cita Albert Einstein – “non si può prevenire e preparare la guerra allo stesso tempo” – ha un precedente illustre nel “Manifesto Einstein-Russell” che nel luglio 1955 chiedeva ai governi del mondo il disarmo atomico e la ricerca di “mezzi pacifici per la soluzione di tutti i loro motivi di contesa”. Frutto di un impegno comune del filosofo inglese Bertrand Russel e del fisico tedesco Albert Einstein nel quale, qualche mese prima, il primo scriveva al secondo: «Penso che eminenti uomini di scienza dovrebbero fare qualcosa di spettacolare per aprire gli occhi ai governi sui disastri che possono verificarsi», in un carteggio che, infine, diede vita al manifesto firmato da eminenti scienziati ed intellettuali del tempo, tra i quali i premi Nobel Max Born e Linus Pauling. Erano anni in cui anche gli intellettuali italiani erano attenti ai temi del disarmo, molti dei quali – da Carlo Calvino a Gianni Rodari, da Carlo Cassola a Renato Guttuso – collaborarono attivamente, per esempio, anche alla Marcia da Perugia ed Assisi “per la pace e la fratellanza tra i popoli”, voluta da Aldo Capitini nel 1961.
Oggi, a fronte di una nuova ed impetuosa corsa agli armamenti, che colma gli arsenali e svuota i granai, che arricchisce i produttori di armi e sottrae risorse alla cura dei popoli, è necessario un nuovo impegno intellettuale e razionale, che aiuti ad aprire gli occhi di fronte alla creduloneria diffusa che affida la sicurezza, la difesa e la pace alla crescita degli armamenti, anziché al loro smantellamento. Per questo l’appello per il dividendo di pace degli scienziati internazionali – che affiancano la propria voce a quella di importanti religiosi come papa Francesco ed il Dalai Lama – è particolarmente significativo ed importante. E per questo voglio ricordare i nomi degli eminenti promotori italiani: Giorgio Parisi e Carlo Rubbia, premi Nobel; Annibale Mottana e Roberto Antonelli, presidenti rispettivamente dell’Accademia italiana delle scienze e dell’Accademia dei Lincei; e il fisico Carlo Rovelli che ne è l’organizzatore. Quando il pensiero razionale scende in campo contro quello magico può fare la differenza. Diamogli/ci una mano firmando qui l’appello per il dividendo di pace.