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Dolore e offesa

DiEnrico Peyretti

Lug 28, 2014

La catena maledetta della violenza ha tre anelli che diventano infiniti, come mostrava Helder Camara:
1) la violenza oppressiva; 2) la violenza ribelle; 3) la violenza repressiva.

Ogni volta che una persona, un popolo, una categoria, è oppressa, nei suoi diritti, nella sua terra, lì nasce la violenza. Il più forte, chi usa la forza (che è una qualità della vita) per schiacciare e offendere la vita altrui, è il primo e maggiore violento. Chi si ribella ha ragione, ma se imita la prima violenza non esce dal cerchio maledetto. Il primo violento ha buon gioco a reprimere la violenza ribelle, e anche ad apparire più giusto.

La volontà di giustizia e libertà degli oppressi deve scoprire la liberazione nonviolenta. La possibilità è dimostrata da varie esperienze storiche ignorate nelle storie ufficiali (v. in Google “Difesa senza guerra“). Gli stati, nati per lo più dalla guerra, devono imparare che la politica è pace attiva, perciò giusta, esclusione della guerra e del suo enorme apparato, altrimenti non è politica. Identificare lo stato democratico con l’esercito (parata militare del 2 giugno!) è corruzione concettuale.

La nonviolenza non è virtù privata di “anime belle”, ma è la qualità dell’autentica politica umana, che gestisce i conflitti, naturali nella vita, non con la morte, ma con la ragione, la forza umana, l’unità nella resistenza alla violenza, la visione del superiore interesse comune.

L’argomento che ora si sente – le vittime civili inevitabili per colpire i violenti – è lo stesso che portava Reder, comandante della strage di Monte Sole-Marzabotto: “Era inevitabile che la popolazione civile fosse coinvolta nell’annientamento, per necessità militari, della “Stella Rossa” (cfr. i libri e articoli di P. Pezzino, L. Baldissara, G. Nozzoli, citati da A. Mandreoli in “Il Margine”, n. 6/2014; www.il-margine.it/rivista). Ed era lo stesso “danno collaterale” dei bombardamenti alleati sulle città, di tutte le guerre, delle vantate “bombe chirurgiche”.

Ci sono, in Israele come in Palestina, persone, gruppi, esperienze che cercano la giustizia senza fare violenza. Conoscerle e sostenerle è il migliore nostro lavoro, in questo momento amarissimo, per la pace.

Di Enrico Peyretti

Enrico Peyretti (1935). Ha insegnato nei licei storia e filosofia. Membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza "Sereno Regis" di Torino, del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, dell'IPRI (Italian Peace Research Institute). Fondatore de il foglio, mensile di “alcuni cristiani torinesi” (www.ilfoglio.info). Collabora a diverse riviste di cultura. Gli ultimi di vari libri (di spiritualità, riflessione politica, storia della pace) sono: Dialoghi con Norberto Bobbio su politica, fede, nonviolenza, (Claudiana, 2011); Il bene della pace. La via della nonviolenza (Cittadella, 2012). (peacelink.it/peyretti)

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