Mentre si moltiplicano le occasioni per approfondire la figura di don Milani, nel centenario della nascita, e i metodi della scuola di Barbiana, viene spontaneo pensare all’anno scolastico che sta per ricominciare e alle insufficienze che caratterizzano strutturalmente il nostro sistema di istruzione.
Una per tutte: siamo al terzo posto in Europa per dispersione scolastica (12,7%) dopo la Romania (15,3%) e la Spagna (13,3%). Leggo su un articolo del Sole 24 Ore del 2 maggio scorso: “Finire le scuole medie in Italia oggi è obbligatorio. Eppure, nel 2020 c’erano 50 mila ragazzi fra i 20 e i 24 anni, nati fra il 1996 e il 2000, che non avevano la licenza media. Nel dettaglio: 10,6 mila di loro sono analfabeti, 15,8 mila sono alfabetizzati ma non hanno mai finito le scuole elementari, mentre altri 23,3 mila non hanno mai finito le scuole medie. (…) Il 4,6% degli italiani con più di 9 anni è analfabeta, e in generale 4 italiani su 10 dai 25 ai 64 (quindi esclusi gli anziani) non posseggono un diploma”.
Si considerano “dispersi” i ragazzi che non raggiungono una qualifica professionale o un diploma, quelli che interrompono gli studi, o che sono formalmente iscritti ma non frequentanti. Secondo un’accezione più ampia rientra tra i dispersi anche chi a scuola ci va regolarmente eppure ne esce senza le competenze di base. L’ultima rilevazione Invalsi riporta che oltre 4 ragazzi e ragazze su 10 non possiedono competenze sia alfabetiche sia numeriche. Insomma, i vecchi “leggere, scrivere e far di conto”, sebbene questi siano insufficienti per districarsi nella complessità. Questi dati ci aiutano a capire come stanno le cose, poi vanno interpretati. È evidente che non bocciano i ragazzi, dicono semmai che la scuola che non è in grado di compensare le diseguaglianze di partenza. Sempre secondo dati ministeriali, le carenze appartengono soprattutto ai maschi, agli alunni stranieri, ai residenti nel Mezzogiorno e a chi è stato bocciato. In altri termini si tratta di chi è meno sostenuto nello studio da parte della famiglia, chi parte in svantaggio per condizioni socio-economiche e familiari, chi è più sottoposto a ricevere le moine delle reti illegali. E, per quanto si dica, difficilmente le intelligenze artificiali saranno in grado di proteggere queste persone, o la società nel suo insieme, se utilizzate in malo modo (come è più probabile in assenza di competenze) invece che governate in modo responsabile.
Con la volontà di contrastare la povertà educativa da trent’anni a questa parte nascono in tante città italiane progetti innovativi per contenuti e metodologie, presupposti e organizzazione del tempo e dello spazio. Prende le mosse a Lucca nel 1998, con il dirigente scolastico Marco Orsi, l’esperienza della Scuola Senza Zaino, che ormai è una rete nazionale, “ispirandosi anche ai classici della pedagogia e dell’educazione, da Pestalozzi a Rousseau, da Dewey a Freinet, da Cousinet a Don Milani, da Steiner a Montessori, considerando anche gli apporti di autori come Bruner, Vygotskij, Gardner e Sternberg”. Si diffondono (e qualche volta si interrompono…) a Napoli, Roma, Trento, Torino, Milano – e l’elenco è incompleto – le “scuole della seconda opportunità”, pensate proprio per riacciuffare i ragazzi e le ragazze che si sono allontanati dal percorso consolidato. Altri progetti a contrasto della povertà educativa sono finanziati e sostenuti dall’impresa sociale “Con i bambini”, come di recente «Se.Po.Pass» (Sentieri, Ponti, Passerelle), rivolto a 75 ragazzi di Napoli, Reggio Calabria e Messina, o “L’ora di lezione non basta”, coordinato proprio da “Scuola senza zaino” e diffuso in quindici scuole di otto regioni italiane.
«La dispersione scolastica – ha commentato al Corriere della Sera del 22 agosto scorso la vice coordinatrice delle attività istituzionali di “Con i Bambini” Simona Rotondi – è un fenomeno multidimensionale. Nasce da carenze culturali, familiari e sociali dei minori. Per questo le azioni di contrasto devono dispiegarsi su diverse dimensioni, arrivando a toccare l’intera comunità educante. Dobbiamo interrogarci su quanto la scuola oggi riesca a stimolare la motivazione degli alunni e la curiosità che è alla base dei processi di apprendimento».
Quanto parla di percorsi basati sulle esperienze di vita dei ragazzi, in grado di riaccendere l’amore per la conoscenza, mi tornano in mente parole come quelle che i ragazzi di Barbiana hanno scritto agli allievi di Vho di Piadena (Cremona), che facevano scuola con Mario Lodi, un altro maestro straordinario.
«A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere» scrivono i ragazzi di don Lorenzo. «Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé».
Non più lo studio per obbligo dunque, ma per volontà propria. «Ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo. Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili. Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali italiani, operai, contadini, montanari. (…) al mondo non ci siamo soltanto noi».
Il difficile è mantenere la concentrazione. I ragazzi lo dicono in modo commovente: «Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora».
Seguire l’orientamento del priore di Barbiana è fonte di conflitto anche familiare. «Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola».
Il sogno che li spinge è un orizzonte di pace. «Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre».