Ci chiediamo dov’è la vittoria del 4 novembre 1918, che ancora viene festeggiato come giorno fausto, e fu invece profonda sconfitta, immenso dolore e disastro del nostro paese, precipitato dal nazionalismo bellicista nel fascismo e nelle sue guerre, umiliazione e corruzione dell’anima del popolo e altro dolore, fino al riscatto della Resistenza moralmente attiva e alla Costituzione, che sconfessa la vittoria militare.
Conclusione provvisoria del libro Dov’è la vittoria? a cura di Enrico Peyretti, Piccola antologia aperta sulla mieria e la fallacia del vincere, con una Prefazione di Matteo Soccio.
Il libro, edito nel 2005 da Gabrielli editori (info@gabriellieditori.it), di p. 110, contiene 115 testi, note, pensieri sulla vacuità della vittoria in guerra e nei rapporti quotidiani violenti o imperiosi.
I testi sono ordinati in 5 capitoli: Voci antiche (dalle origini al 1500 dopo Cristo); Voci moderne (1500-1900); Voci del Novecento prima del 1945; Voci del Novecento dopo il 1945; Voci del 2000.
Altre decine di testi sono raccolti per una eventuale nuova edizione accresciuta.
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Conclusa ma non chiusa questa raccolta, osiamo supporre che essa serva a mostrare, una volta di più, dopo tante altre dimostrazioni simili, ma in modo aggiornato, quanto è vana e controproduttiva una vittoria, sia pure come affermazione di una causa giusta, di un diritto, conseguita con la violenza e le armi. A questo punto il discorso è appena aperto. La denuncia del militarismo non è ancora il pacifismo. Il pacifismo non è ancora la nonviolenza attiva. La quale è lotta con tecniche non distruttive, è gestione dei conflitti con mezzi ed esiti che, anche ove si rivelassero sbagliati e fallimentari, non avrebbero effetti irreversibili. È questa l’alternativa alla guerra. Non l’elusione o nascondimento dei conflitti, ma la loro gestione franca coi mezzi della forza nonviolenta. La vittoria, in questa situazione, cioè il raggiungimento dell’obiettivo, è a somma positiva, è un vincere insieme, non senza sacrifici di entrambe le parti ma con un utile complessivo maggiore, più equamente distribuito tra gli avversari, senza umiliazione e comseguente revanscismo di alcun “vinto”. Nella lotta nonviolenta, la vittoria è un guadagno sul piano dell’oggetto della contesa, dell’obiettivo giusto ricercato, ma ancora di più sul piano della qualità umana, della dignità, del dolore risparmiato e della pace giusta assicurata, per tutti. La vittoria nonviolenta è aver ragione delle avversità oggettive, delle difficoltà, ostacoli, ritardi, errori del passato, non è vittoria su persone e gruppi umani, ma su situazioni antiumane.
Ma questa linea di ricerca teorica, di esperienze, di tecniche, di organizzazione e addestramento è un altro campo di lavoro, e ancora più importante, rispetto a questo.
Qui basti aver cercato di svergognare, demitizzare, smascherare l’inganno e l’illusione della vittoria bellica, nella guerra e in ogni forma di rapporto violento: tentativo non superfluo, perché nei nostri anni l’idolatria mortale della guerra è tornata con arroganza a guidare i potenti e folli detentori di leve omicide, a camminare con piedi di ferro e fuoco sulla vita e sul destino dei popoli. Chiamano vittoria, quando la ottengono e non precipitano invece, come accade, nello stesso abisso che hanno aperto, quella che è la massima sconfitta umana: essere gli uni contro gli altri, esser nemici, perciò essere senza gli altri, dunque meno umani che mai.
La ricerca va continuando sugli altri terreni della cultura di pace: è la ricerca dell’affermazione della nostra umanità sul disumano che è in noi.
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Rifacimento costituzionale di due strofe dell’inno di Mameli
Fratelli d’Italia
l’Italia s’è desta
dell’onta fascista
s’è tolta la macchia.
Con la Resistenza
e la Costituzione
ha vinto la lotta
per la dignità.
Stringiamoci insieme
in pace e giustizia:
l’Italia vivrà.
L’Italia ripudia
la guerra assassina
e vuole la pace
dei Popoli Uniti,
la pace che solo
giustizia produce,
e toglier la fame
e la schiavitù.
Stringiamoci insieme
in pace e giustizia:
l’Italia vivrà.