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E giù la schiavitù!

DiDaniele Lugli

Lug 20, 2020

Tra il Cinquecento e l’Ottocento la tratta degli schiavi è giunta forse a 13 milioni. Meno di un terzo della consistenza attuale. Un quarto è di bambine e bambini. Nel complesso risulta un primato delle donne: ogni 10, 7 sono schiave e 3 schiavi. Una persona è ritenuta in schiavitù se costretta a lavorare contro volontà, se appartiene a uno sfruttatore o “datore di lavoro”, se ha limitata libertà di movimento, se trattata come merce, comprata e venduta come bene mobile. Ne ho già, sia pur brevemente, scritto in passato La schiavitù di oggi. Siamo uomini o caporali? Ripropongo il tema perché la schiavitù resta un grande affare: 150 miliardi di dollari all’anno di profitti, più di un terzo nei paesi sviluppati, compresa l’Unione europea. Anzi un affare migliore di un tempo. Due, tre secoli fa 1/5 moriva durante il trasporto e un altro 1/5 nell’anno successivo, secondo Thomas Piketty. I moderni schiavisti guadagnerebbero trenta volte più dei loro predecessori, secondo Siddhart Kara. Per l’esperto – in italiano credo vi sia solo un suo libro, “Sex Trafficking”, ormai datato – uno schiavo ha un costo medio di 450 dollari, ma produce circa 8mila dollari di profitti annui, 36mila nell’industria del sesso! La schiavitù, illegale in tutti i paesi del mondo, resta, comprensibilmente, largamente diffusa.

Questo dice l’attualità. Diamo un’occhiata alla storia. Faticosa ne è stata, in tempi diversi e modalità differenti, l’abolizione negli stati. Sempre Thomas Piketty, in “Capitale e ideologia”, dedica un capitolo a un’attenta ricognizione. Indennizzati non sono gli schiavi, che hanno sofferto, ma i proprietari. Sono ben risarciti per la perdita di beni legittimamente posseduti. Solo a Lincoln, poteva venire in mente di promettere agli schiavi una volta emancipati – la guerra civile era ancora in corso – “un mulo e 40 acri di terra”, equivalenti a circa 16 ettari. Morto Lincoln del mulo hanno avuto solo i calci e terra niente, se non quella in cui sono stati sepolti i linciati dal Ku Klux Klan.

Prima è abolito il commercio degli schiavi: 1807 in Gran Bretagna e nel 1815, al Congresso di Vienna, si aggiungono Olanda, Francia, Spagna e Portogallo. I trafficanti debbono dedicarsi a trasporti meno redditizi e senza alcun indennizzo. Ai padroni va meglio. In Gran Bretagna l’abolizione del 1833, avviata concretamente cinque anni dopo e integrata da successive disposizioni fino al 1843, è accompagnata dall’integrale indennizzo dei proprietari. In 4mila ricevono 20 milioni di sterline, 5% entrate del le regno (dieci volte la spesa all’epoca per l’istruzione). La stessa quota di entrate darebbe oggi 120 miliardi di euro: 30 milioni in media per proprietario, Il tutto è finanziato con entrate gravanti sui contribuenti medi e poveri, data la scarsa progressività delle imposte. In compenso gli schiavi liberati nelle colonie hanno contratti di lavoro semiforzato. Si è detto di chiedere indietro le somme ai discendenti dei risarciti. Naturalmente non se ne è fatto nulla.

In Francia vi è una doppia abolizione: nel 1794 e nel 1848. La prima, propiziata dalla ribellione degli schiavi delle piantagioni di Saint-Domingue, condotti da Toussaint L’Ouverture – Tuttisanti L’Apertura, bel nome augurale, quasi capitiniano – non ha praticamente applicazione se non in quella colonia, ridenominata Haiti. Se ne discutono le condizioni: Condorcet propone abolizione senza indennizzi. Muore un mese dopo l’approvazione della legge. Napoleone vuole riprendere Saint-Domingue e ristabilisce in ogni possedimento la schiavitù. Il cognato, generale Charles Leclerc, comanda la spedizione all’inizio del 1802. Toussaint è catturato e tradotto in Francia, dove muore l’anno successivo. Resistenza e febbre gialla – anche Leclerc ne muore – sconfiggono la spedizione. Nel 1804 Haiti proclama l’indipendenza. Il re di Francia Carlo X, nel 1825, riconosce Haiti, contro un risarcimento che eviti la guerra e indennizzi i padroni per la perdita degli schiavi. Il debito è stato pagato fino al 1950! Senza interessi sono 30 miliardi di euro. Haiti li chiede ancora inutilmente indietro alla Francia, che pure ha solennemente dichiarato la schiavitù crimine contro l’umanità. La Repubblica francese, nel 1848, abolisce la schiavitù, in tutte le sue colonie, con un indennizzo inferiore a quello ipotizzato dal monarca e rifiutato dai proprietari. Il finanziamento sarà un po’ debito pubblico e un po’ lavoro forzato degli ex schiavi, se vogliono evitare carcere e deportazione come vagabondi. Al re Luigi Filippo Alexis de Tocqueville aveva proposto un’equa formula di risarcimento per i proprietari: metà dallo stato – debito pubblico – e metà dagli ex schiavi, con lavoro di 10 anni sottopagato.

La storia ci dice che tutte le prediche contro la schiavitù, in nome della religione, dell’etica, dei diritti – indispensabili a contestarne il fondamento – l’hanno solo scalfita, finché i padroni non hanno temuto, o visto in atto, la ribellione degli schiavi. Questa ha avuto successo quando ha trovato sostenitori decisivi, tra gli sfruttatori, diretti e indiretti. Anche ora occorrono la consapevolezza e l’azione congiunta di chi si trova in una condizione di schiavitù e dei lavoratori “liberi” per una comune emancipazione. Sono sottoposti, in grado diverso, alla stessa violenza di un sistema padronale, senza limiti alla proprietà privata, ai profitti, alla rendita. La loro liberazione è compito comune. Ci sembrava di averlo imparato e sentito perfino cantare.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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