• 23 Dicembre 2024 21:30

E Mazzini allora?

DiDaniele Lugli

Dic 5, 2022

C’è a Ferrara, l’intitolazione della sala del Centro Documentazione del Museo del Risorgimento e della Resistenza, all’amico Davide Mantovani e di seguito una conferenza di Simon Levis Sullam, curatore del libro di Gaetano Salvemini, “Mazzini. Con i ‘Doveri dell’uomo’ di Giuseppe Mazzini”, recentemente edito da Feltrinelli. Manco entrambi gli appuntamenti. Leggo il libro, ma non posso discuterlo con Davide. Non mi pare che abbiamo mai parlato espressamente del pensiero e dell’azione di Mazzini. Forse solo del rapporto tra Giovine Italia e carboneria. Piuttosto abbiamo parlato della Mazzini Society fondata da Salvemini con Ascoli e del suo apporto all’antifascismo in Italia e in Europa. È l’occasione questa per meglio conoscere il pensiero e l’azione di Mazzini. Ne so poco. Oltre la lettura insistita dei “Doveri dell’uomo” in IV ginnasio – utile per l’abbandono di una pratica confessionale già vacillante; li rileggo, ora a tanta distanza di tempo, aiutato dall’analisi critica di Salvemini – ci sono letture di opere di e su di lui, in particolare i tre volumetti di “Scritti politici”, edizione Einaudi. Della lettura dei Doveri dell’uomo mi colpisce e mi resta “Dio vi ha fatto educabili. Voi dunque avete il dovere di educarvi per quanto è in voi, e diritto a che la società alla quale appartenete non vi impedisca nella vostra opera educatrice, vi aiuti in essa e vi supplisca quando i mezzi di educazione vi manchino… Dio vi ha fatti sociali e progressivi. Voi dunque avete il dovere d’associarvi e di progredire…”. Scrive Capitini che Mazzini pensa “di sostituire al binomio del secolo precedente diritti-violenza, il nuovo binomio doveri-educazione”.

Mi colpisce, nell’incontro con Capitini, la sua straordinaria considerazione per Mazzini. In “Complessità del liberalsocialismo” (1945) parla del ’37. “Allora c’era la corsa agli armamenti, la teoria che il fine giustifica i mezzi, che la vendetta è un dovere, e anzi rende forti e allegri; e noi sentivamo la nostra opposizione andare a cercare le sue carte di appoggio, le sue consolazioni, nelle espressioni più vere del Vangelo, di san Francesco, di Mazzini, di Tolstoj, di Gandhi”. Ancora in “Vita religiosa” (1942) “uomini prediletti da Dio Dante, Mazzini, San Francesco, Leopardi”. Niente a che vedere con le caratteristiche potenzialmente autoritarie, che Salvemini indica nel pensiero mazziniano. È un pensiero per Capitini decisivo nella costruzione della democrazia “Mazzini, per cui il popolo vive repubblicanamente autonomo e consapevole” (“Elementi di un’esperienza religiosa”, 1937). “Giuseppe Mazzini avrebbe dovuto essere un punto di partenza (per le sue posizioni antitradizionalistica in religione, federalistica nel mondo internazionale, associativa nel campo economico, repubblicana nella Costituzione)” (“Educazione aperta”, 1967). E quando Mazzini manca si sente “la moltitudine dei contadini italiani, gravati per secoli dalla superstizione e dalla sopraffazione, tenuti lontani per secoli dalla scuola e dalle correnti moderne, non educati ad altro che alla paura del carabiniere, dell’inferno, delle disgrazie sulle messi e sul bestiame, sia una moltitudine di «individualisti», non è da meravigliarsi. Mazzini non è arrivato fino a loro” (“Il problema dei contadini”, 1945).

Dove Salvemini vede componenti antidemocratiche, come nella critica radicale della Rivoluzione francese, nella condanna della lotta di classe e nel rifiuto della dialettica sociale, Capitini legge nuovi orientamenti, che sente affini alla sua proposta. In “Orientamento per una nuova socialità” (1943) ad esempio “Si doveva ripetere, molto più in grande e in un orizzonte intercontinentale, quanto il Mazzini e il romanticismo avevano sostenuto ed effettuato rispetto alla rivoluzione dell’89: fare qualche cosa di analogo e di superiore… due rivoluzioni invece di una, massimo socialismo e massimo liberalismo”. O quando critica la scissione del Partito d’Azione da parte di Parri e La Malfa (“Due movimenti etico-politici”, 1946): “La borghesia italiana torna ad esser borghesia, e soltanto borghesia: questo è il passo che il movimento ha fatto. Ed è ben inopportuno evocare lo spirito di Mazzini, che non avrebbe mai fatto nulla per staccarsi dal popolo… E poi ci si viene a parlare di Mazzini!”. E torna Mazzini nella sua proposta politica e nell’ispirazione della sua creatura più amata: il Centro di Orientamento Sociale: “vorrei che i partiti di sinistra si ricordassero che debbono lavorare per la maggioranza. Per la minoranza, riformatori, poeti, santi, in Italia si è sempre lavorato, e meravigliosamente; ma abbiamo il dovere di tentare che la minoranza diventi maggioranza, e la minoranza non sia sempre il dramma o la tragedia come per Bruno, Mazzini, Matteotti, Gramsci” (“Blocchi del popolo e comitati per il piano sociale”, 1947); “Siamo più vicini al Mazzini, al principio del popolo che si educa, a quell’assenza di privilegi sociali, di pregiudizi intellettuali, di caste sociali; popolo vivo, autentico, puro, nel ritrovare in sé la legge della propria formazione, del proprio sviluppo, l’imperativo morale della incessante cooperazione” (Origine, caratteri e funzionamento dei COS, 1948).

Dio e il popolo”, motto indigesto a Salvemini almeno quanto a me, evoca a Capitini la necessità e possibilità della riforma religiosa in un Paese che ha avuto la controriforma senza la riforma, diviso tra l’ossequio al “Cremlino di Roma e al Vaticano di Mosca”. In “Chiesa e religione in Italia” (1950): “la Riforma poteva avvenire se gl’italiani avessero continuato ad essere come Dante, non realizzandosi come Boccaccio o Ariosto, e il Mazzini aveva del dantesco, non del boccaccesco o ariostesco”. L’idea di Mazzini boccaccesco mi mette di buon umore. Ancora in “Religione aperta” (1955), “di fronte al fascismo e all’istituzione religiosa secondante Gesù Cristo, Buddha, San Francesco, Mazzini, Gandhi!”. Perfino nello scritto testamentario “Attraverso due terzi del secolo” (1968) annota: “Se io fossi morto nel 1944, dopo avere scritto in primavera ‘La realtà di tutti’, avrei già, con i quattro libri e le sollecitazioni portate personalmente, delineato una posizione teorico-pratica di riforma suscettibile di utilizzazioni, forse la più compatta dopo quella mazziniana dell’Ottocento”.

Sia Salvemini che Capitini apprezzano l’auspicio mazziniano dei futuri Stati Uniti d’Europa, forse è il primo a usare questa denominazione. Capitini è chiarissimo nel denunciare la degenerazione nazionalistica e la giustificazione della guerra. “Noi europei occidentali ci troviamo a questo punto: abbiamo insegnato al mondo l’individualità nazionale, che ogni popolo può e deve essere una nazione (ricordate l’espressione di Mazzini: «Convinto che dove Dio ha voluto fosse nazione, esistono le forze necessarie a crearla»); abbiamo esaltato la nazione e non abbiamo con la stessa energia e lo stesso ardore superato la nazione, inquadrandola nel mondo; noi avremmo dovuto porre sullo stesso piano la nazione e un’unità internazionale; invece ci siamo stretti alla prima, siamo caduti nel nazionalismo; abbiamo spinto al massimo la tensione militare, imperialistica; e possiamo ora meravigliarci se nel mondo giocano imperialismi ben più potenti del nostro?” (Prime idee di orientamento, 1944).

Infine ne “Il problema religioso attuale” (1948) ricorda un articolo di Mazzini sulla guerra franco germanica 1870-1871: “la pace perpetua è impossibile finché i popoli non sono ordinati in assetto fondato sul Giusto e sulle naturali tendenze. Ma fino a quel giorno ciascuno dei combattenti ha dovere, in nome della propria Nazione, di vincere”. Non può essere così per Capitini. Contro la guerra insegna che occorre essere duri come la pietra e il valore dell’obiezione di coscienza. Quando, negli anni Sessanta, mi impegno nel Gruppo di Azione Nonviolenta per l’obiezione di coscienza, c’è un cartello che amo portare: “La libertà non ha pericoli se non per chi ha in animo di tradirla. Giuseppe Mazzini”. Anche di questo parlerei, ancora una volta, con l’amico Davide. Lo faccio come posso: così.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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