Non so quanto il ministro Valditara sia consapevole della coincidenza tra l’emanazione delle “Nuove Linee guida” per l’insegnamento dell’educazione civica, obbligatorie a partire dall’anno scolastico 2024-2025, e il sessantesimo anniversario della prima ricerca su “L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale”, pubblicata da Aldo Capitini nel 1964 (Editori Laterza), con contributi di Guido Calogero ed altri.
Temo ben poco, altrimenti (forse) si sarebbe reso conto che le sue “nuove” linee guida sono rivolte al passato, anziché al presente ed al futuro, mentre quelle di Capitini sono avanzate rispetto ai nostri tempi oscuri. Non che quelle in vigore non avessero pesanti lacune, come avevo evidenziato a suo tempo, ma queste hanno una precisa intenzione ideologica nazionalista-liberista, che va nella direzione opposta a quella proposta da Capitini, che – da pedagogista e filosofo della nonviolenza – dava un fondamento epistemologico all’educazione civica che nel dopoguerra muoveva timidamente i primi passi.
L’educazione civica, scriveva Capitini, è “quella parte dell’educazione di sé e degli altri, che ha lo scopo di preparare a partecipare nel modo meglio informato e più attivo alla complessa vita della comunità e al miglioramento delle sue strutture sociali e giuridiche, sostituendo volentieri ragioni pubbliche a motivazioni esclusivamente private, e tendendo a liberare l’individuo in una sempre più autentica socialità”. Aggiungeva, inoltre, che l’educazione civica non deve essere “ridotta a semplice obbedienza all’ordine costituito e alle <<autorità>>” ma dev’essere “vista come attiva cooperazione critico-produttiva e instancabilmente informata alla vita civile ed alle sue istituzioni con continuo promovimento di maggiore giustizia e maggiore libertà”. E, concludeva, rispetto alle tendenze normalizzatrici che già allora si manifestavano: “valgano questi pensieri (…) a correggere l’idea che l’educazione civica voglia dire educazione all’obbedienza alle autorità esistenti. Ben più largo è l’orizzonte, e se educazione civica è educazione all’obbedienza allo spirito della democrazia, esso è ricerca continua, incontro con i diversi, dialogo con tutti, servizio aperto, responsabilità di portare il proprio contributo critico e costruttivo, con la costante intenzione di stare insieme”.
Ma Aldo Capitini non aveva fatto i conti con il ritorno degli eredi del fascismo al governo del nostro Paese, all’interno di una dimensione internazionale di ritorno dei blocchi contrapposti. Rispetto alla quale il filosofo della nonviolenza indicava proprio nell’educazione civica una via d’uscita: “E’ chiaro che un’educazione civica rettamente e largamente intesa apre all’internazionalismo ed è altresì chiaro che un internazionalismo non generico o retorico consente e promuove un approfondimento di motivi e di temi anche sul piano dell’educazione civica, che invece il nazionalismo nega. (…) Il compito della scuola per decidere di tale contrasto a favore delle posizioni più avanzate e di più larga apertura, è d’importanza fondamentale. Ma naturalmente è necessaria una scuola sempre meno evasiva e sempre più impegnata”.
Il modo in cui s’intende l’educazione civica è, dunque, cartina di tornasole del ruolo culturale che si affida alla scuola. Per Valditara essa deve veicolare i valori d’impresa, la proprietà privata, l’educazione finanziaria e la crescita economica, insomma deve essere al servizio del modello liberista fondato sul successo individuale, seppur dentro ad una logica nazionalista. Invece, sosteneva Capitini, “La scuola è connessa con ciò che è in atto, oltreché un elemento di apertura e di educazione alla pace nella conoscenza dei problemi di tutti i popoli, superando anche quella cornice di europeismo in senso nazionalistico e presuntuoso, e come diretto contro altri, come purtroppo si fa per esortazione ufficiale, e con stimoli di temi e di premi, nelle scuole di oggi”. Si tratta insomma di ”impostare i rapporti con tutti in modo orizzontale, con rispetto e reciprocità. E’ chiaro che questo vale pienamente sul piano dell’educazione civica nella società italiana in trasformazione”
Con l’educazione si danno gambe non solo all’idea di società, ma anche ai rapporti di potere che la governano. Per Capitini, come per i grandi sperimentatori di educazione popolare di quel periodo, don Milani e Danilo Dolci, attraverso la scuola si tratta di re-distribuire il potere tra tutti. “Questa possibilità di un potere concreto di tutti esige la diffusione di una nuova educazione” – conclude Capitini – “cioè di un metodo nelle lotte stesse che non sia distruzione: il metodo nonviolento, diffuso e insegnato dappertutto, dà fiducia ad ogni essere di avere una sua forza, un suo potere attraverso le tecniche della nonviolenza, e rende perciò attuabile, al posto della società oligarchica, la società omnicratica, sempre in movimento, sempre superantesi e correggentesi, ma che mai distrugge i suoi componenti. Così è possibile portare al massimo orizzonte possibile l’educazione alla comprensione e collaborazione internazionale, che non si esaurisca nella conoscenza degli altri e delle istituzioni internazionali, ma muova anche l’animo a sentire l’unità con tutti”
Il sentire di cui abbiamo bisogno oggi più che mai, con il ritorno della guerra perfino in Europa. Anziché del nazionalismo di Valditara.