Tra le tante novità e incertezze del nuovo anno scolastico, una certezza positiva è che ripartirà finalmente l’”Educazione civica” come materia curricolare e, secondo quanto previsto dalla legge 92 del 2019, questo insegnamento ha – a partire da questo anno scolastico – un proprio voto, con almeno 33 ore all’anno dedicate. Pur essendo il minimo indispensabile, è una buona notizia perché, per quanto l’educazione alla cittadinanza consapevole e responsabile dovrebbe essere la finalità ultima della scuola in quanto palestra di democrazia, un insegnamento specifico e valutabile aiuta a non dare per scontato che poi questa educazione, trasversale alle diverse discipline, avvenga davvero. Dunque è una decisione necessaria, ma – a mio avviso – non ancora sufficiente, almeno per due ragioni: perché va integrata con un approccio metodologico critico e perché tra le cornici tematiche indicate ce n’è una mancante.
L’approccio metodologico critico
Lo scorso giugno il Ministero dell’Istruzione ha inviato alle scuole le Linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica , che ruotano intorno a tre assi: la Costituzione, ossia “la conoscenza, la riflessione sui significati, la pratica quotidiana del dettato costituzionale”; lo sviluppo sostenibile, ossia “non solo la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali, ma anche la costruzione di ambienti di vita, di città, la scelta di modi di vivere inclusivi e rispettosi dei diritti fondamentali delle persone”; la cittadinanza digitale, ossia “la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali”. Tre cornici di senso, al cui interno svolgere l’insegnamento della materia, che possono diventare davvero stimolanti e generative per “comprendere la nostra condizione ed aiutarci a vivere” (Morin) se proposte ed affrontate con approccio metodologicamente critico, ossia esplicitandone la complessità e le contraddizioni.
Per esempio, nello svolgere il tema della Costituzione, non si può non aiutare gli studenti a riflettere criticamente sulla distanza tra i “Principi fondamentali” in quanto base del nostro legame repubblicano e la loro applicazione reale, spesso disattesa, dall’articolo 1 (“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”) all’articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”): come ci dicono ripetutamente i dati Eurostat il nostro è tra gli ultimi paesi europei in quanto ad occupazione, specie giovanile, e tra i primi in quanto a spese militari. E’ come se il fondamento costituzionale fosse invertito: un paese fondato sulla preparazione della guerra che ripudia il lavoro…
Nell’affrontare il tema dello “sviluppo sostenibile”, non si può non evidenziare la contraddizione tra un ecosistema finito ed un modello di sviluppo infinito – predatorio di risorse naturali e tossico nella produzione di rifiuti – del quale i cambiamenti climatici e la riduzione della biodiversità sono solo alcuni dei più evidenti tra i danni irreversibili. Per cui se non si rimette fortemente e immediatamente in discussione il modello di sviluppo esistente – trasformandolo in una impronta ecologica leggera, sostenibile per l’ecosistema – è messa fortemente a rischio lo sviluppo della stessa specie umana.
Così come nell’educazione all’uso delle tecnologie digitali non si può non esplicitare che – per dirla con Franklin Foer – “gli algoritmi possono semplificarci la vita, metterci in contatto con compagni delle elementari che non sentiamo da decenni e consegnarci la spesa. Molto presto saranno in grado di guidare l’auto e localizzare i tumori. Ma per fare tutto questo gli algoritmi ci prendono continuamente le misure e decidono al nostro posto. E quando deleghiamo il pensiero agli algoritmi, in realtà, li deleghiamo alle grandi aziende che li controllano” (I nuovi poteri forti. Come Google Apple Facebook e Amazon pensano per noi, Longanesi 2017)
La cornice mancante: l’educazione alla nonviolenza
E poi nelle “Linee guida” manca una cornice di riferimento fondamentale: l’educazione alla nonviolenza, cioè l’educazione alla costruzione di relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondati non solo, in negativo, sulla rinuncia all’uso violenza nella gestione dei conflitti (che pure sarebbe già tanto) ma anche, in positivo, sull’empatia e sulla creatività capaci di generare le competenze necessarie allo stare al mondo nel tempo della complessità e dell’interconnessione. In un Paese nel quale monta un razzismo strisciante e violento, aumentano tra i giovanissimi le simpatie per le frange politiche neofasciste (vedi Cristian Raimo, Ho 16 anni e sono fascista. Indagine sui ragazzi e l’estrema destra, Piemme 2018), sono diffusi almeno sette milioni di armi da fuoco, ed avvengono fatti di violenza assurda ed estrema come l’uccisione di Willy Monteiro Duarte – che, come ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai funerali del ragazzo, non rappresenta “un singolo episodio, ma ci sono frange e sacche sociali che coltivano la mitologia della violenza” – è necessario un piano straordinario di educazione alla nonviolenza ed al disarmo dell’implicito culturale della violenza. O, almeno – appunto – una integrazione di questa cornice mancante, ma necessaria, all’interno delle Linee guida per l’Educazione civica.
Non solo perché – parafrasando metaforicamente Heidegger – ormai solo l’educazione ci può salvare, ma perché educare alla nonviolenza oggi può salvare altre vite dalla violenza balorda e assassina domani. Come quella che si è portata via Willy. E, se questo accadesse davvero, il suo sacrificio non sarà stato vano.
(vigna di Mauro Biani)