Avere le mani sporche a volte è un fatto, a volte una metafora. A volte uno stato poco desiderabile e poco igienico, altre volte è cosa apprezzabile. Dipende, come sempre nella vita. Ci si sporca le mani per motivi diversi, rimestando nel torbido materiale o figurato, oppure col lavoro onesto, per scelta civile.
Sì, anche per scelta civile, quando ci si sporca senza paura di chinarsi e raccogliere nella polvere bisogni e problemi di gente che nella polvere vive suo malgrado, perché la miseria è privazione di molte cose necessarie per una vita decente, non solo cibo, ma anche diritti. E’ degrado che ferisce la dignità negli aspetti materiali e immateriali. C’è tutt’attorno a noi un’umanità considerata di scarto a cui non è data la stessa possibilità che a tutti gli altri. Un’umanità che sta laggiù, in basso.
E’ storia vecchia, in gran parte figlia delle povertà e delle migrazioni di ieri e di oggi: chi emigra lo fa per necessità e di solito non viene accolto a braccia aperte. Lo hanno vissuto i nostri nonni in fuga da un’Italia invivibile e gli italiani del sud in fuga da un meridione troppo povero, in entrambi i casi male accolti là dove sono approdati. E’ destino di oggi di chi attraversa il Mediterraneo per disperazione e, se sopravvive, giunge nelle nostre città. Tutte persone accompagnate da problemi e bisogni che, oggi come ieri, qualcuno deve accogliere, gestire, tradurre in risposte.
Bisogni di casa e lavoro insieme a quelli di alfabetizzazione e scuola per i bambini, di integrazione resa possibile dalla cittadinanza, da relazioni e da amicizie tutte da costruire, da una comunità accogliente che ha memoria e non ha paura. I problemi sono tanti e complessi, sono molto concreti e di base, stanno laggiù in basso dove a raccoglierli è facile sporcarsi. Per lo più richiedono risposte semplici da dire e difficili da dare: uguaglianza, dignità, diritti, inclusione.
La povertà moltiplica i bisogni, le umanità umiliate e discriminate sono tante e spesso dimenticate, vite in basso di scarso interesse per chi ha la fortuna di stare di sopra. Sono accanto a noi, ma sono scomode come lo è ogni diversità, ci interrogano, insidiano la nostra voglia di tranquillità e la tentazione all’indifferenza.
Per fortuna tanti non ci stanno e non hanno paura di sporcarsi le mani, di incontrare vite scomode, ascoltare, mettersi al servizio, aiutare. Noi modenesi siamo fortunati: ci insegna la nostra storia di gente senza paura a prendersi responsabilità. Poverissimi e tra le macerie, dopo la seconda guerra mondiale, non abbiamo avuto incertezze nell’accogliere chi era più povero ancora di noi, migliaia di bambini che dal sud ci hanno portato i treni organizzati per dare una possibilità a chi non ne aveva.
Ci sostiene l’esempio di concittadini speciali che hanno fatto “scuola di civiltà”. Un esempio emblematico: Sergio Neri, educatore e pedagogista insofferente di un sistema sociale e scolastico che lasciava indietro tanti, soprattutto chi aveva un handicap o maggiori difficoltà di base. Da lui abbiamo sentito tante volte l’esortazione a raccogliere i problemi là dove stanno, cioè in basso, per elaborarli e trovare risposte “alte”, quindi adeguate ai bisogni, di qualità. Grazie a lui la nostra scuola ha aperto le porte ai disabili e al loro diritto di uguaglianza, con il necessario aiuto degli insegnanti di sostegno. E il tempo pieno scolastico, da lui fortemente voluto, è stata anche la duplice risposta a bisogni sociali (specie delle donne sempre più proiettate nella vita lavorativa e in processi di autonomia) e di opportunità formative più ampie e per tutti.
“Sporcarsi le mani” è diventata un’espressione astratta che significa non avere timore a maneggiare problemi scomodi, ad incontrare persone difficili, a lavorare con relazioni complicate. Se il cibo è bisogno primario per vivere, le relazioni sono il bisogno che viene subito dopo, per vivere meglio con gli altri. Lavorarci richiede quindi una piccola “rivoluzione culturale”, molta umiltà e un progetto condiviso di cambiamento. Solo su queste basi si possono incontrare persone ai margini che di norma si preferisce dimenticare.
E su queste basi è possibile costruire quel tessuto di buone relazioni, di diritti e dignità che riscattano le persone e la loro umanità. E’ una scelta di campo sociale e culturale. E’ anche una sfida per i tanti – persone e associazioni, operatori sociali e culturali – che le mani se le sporcano volentieri e si chinano a raccogliere i problemi assortiti di chi vive ai margini, ponendosi l’obiettivo di aggiustare almeno un po’ questo mondo privo di giustizia.