Possibile che possa essere utile a noi, visto che neppure in India il suo esempio appare molto seguito?
Pontara pensa di sì ed è tornato in Italia per dirci dello stretto legame tra giustizia e pace nel pensiero del mahatma. Nella dottrina dell’ahimsa (nonviolenza) si radicano la sua concezione e pratica di vita ed azione politica, che sono state un costante esperimento con la verità. La sua idea di giustizia, come benessere condiviso, è particolarmente attuale in un periodo di crescente diseguaglianza economica, interne ai popoli e tra i popoli. La convivenza ne è duramente colpita, nel presente e nelle prospettive. Anziché affrontare le radici di questo disagio, che riguarda tutto il mondo vitale, crescono gli investimenti e le ricerche dell’industria bellica in una corsa agli armamenti ed alla loro sperimentazione, su popolazioni, anche per questo, particolarmente disgraziate. L’appropriata citazione di scritti di Gandhi – Pontara ne è straordinario conoscitore – ne attesta lo sguardo lungo, acuto e profondo.
Il viaggio di Pontara è occasione di un duplice incontro: con Gandhi e con Giuliano. Un piacere per me particolare ritrovarlo. L’avevo visto lo scorso anno, alla presentazione di un suo bel libro Quale pace , ma la sua ricerca è incessante e porta sempre novità e approfondimenti. Sono passati più di dieci anni dalla sua ultima visita a Ferrara, presentava allora L’antibarbarie indicando nella nonviolenza la via per opporsi a tendenze naziste presenti. Non ne siamo stati capaci. Sono ora più evidenti e minacciose.
Su mio invito Pontara era stato a Ferrara già cinquanta anni fa, in uno dei suoi viaggi italiani. Il suo nome me l’aveva fatto Capitini, invitandomi a leggere, era il 9 agosto del ’63, al seminario internazionale sulle Tecniche della nonviolenza di Perugia, la relazione di Giuliano Pontara sul movimento per l’integrazione razziale negli Stati Uniti d’America. Proprio in quei giorni si stava definendo la marcia su Washington, conclusa il 28 agosto da Luther King con il discorso I have a dream. Bisogna che riflettiamo seriamente anche sua questi aspetti. Non possiamo ignorare l’emergere nella realtà a noi più vicina di xenofobia e di vero e proprio razzismo, non solo da parte di pochi, sventurati, pericolosi soggetti.
C’è stato un tempestivo ricordo di Gandhi a Ferrara, al Teatro Comunale, che mi piace ricordare. Gandhi è stato ucciso il venerdì 30 gennaio 1948. Il venerdì successivo 6 febbraio lo ricorda ai cittadini Silvano Balboni, con un invito particolare a tutti gli stranieri residenti a Ferrara, a sottolineare il legame di Gandhi con tutto il mondo. Balboni, seguace di Capitini fin dalla cospirazione antifascista, avrebbe voluto la presenza del suo maestro, ma non è stato possibile. L’incontro, mi è stato testimoniato da chi vi ha preso parte e da documenti, fu particolarmente riuscito. Silvano aveva studiato con attenzione tutte le opere disponibili su Gandhi, sperando di tradurne, anche nella fase resistenziale la sua ispirazione. Per quello che può lo fa, con un comportamento perfino temerario nell’attività clandestina, come disertore (nel suo caso si può parlare di obiezione) da maggio a novembre del ’43. Internato militare in Svizzera completa le sue letture. Compra per sé, e una copia per Capitini, le Lettres à l’Ashram. Di questo e più in generale di Resistenza armata e nonviolenta discute in lettere a Gianfranco Contini. Ha modo di incontrare Ignazio Silone, autore tra l’altro de Il manifesto per la disubbidienza civile. Già l’amico ferrarese, Claudio Savonuzzi, di quattro anni minore e con lui nelle azioni prima e durante la guerra, lo diceva entusiasta di Silone e di Gandhi.
Sivano ha modo di approfondire il tema in un seminario internazionale, in Francia nel luglio del ’48, condotto da Paul Ricoeur. Sono giorni e giorni dedicati ad un esame della violenza nelle sue varie forme (individuale e statale, rivoluzionaria, dissimulata nella società borghese: nel capitalismo, nei valori della civilizzazione), alla possibilità della nonviolenza attraverso un particolare confronto tra Lenin e Gandhi, e infine sulle tecniche della nonviolenza nelle diverse situazioni.
Da Paul Ricoeur a Giuliano Pontara torna la domanda sull’efficacia della nonviolenza, tutta da dimostrare, mentre l’inefficacia e la dannosità della violenza lo è abbondantemente.