Avvicinandoci ai cento anni di Edgar Morin, meglio ripassarne i fondamentali – come questo passaggio de La testa ben fatta – e provare a metterli in pratica. Provo perciò a tessere insieme alcuni fatti accaduti nei giorni scorsi, accomunati dal principio di ingerenza, che non hanno avuto lo stesso rilievo mediatico ma che letti complessivamente ci aiutano, a mio avviso, a comprendere meglio la realtà, se facciamo lo sforzo di alzare la testa, allargare lo sguardo e comprenderne la complessità.
Seguiamo la cronologia delle notizie.
Il 17 giugno il governo Draghi rinnova le circa quaranta (40!) “missioni militari” italiane all’estero, alcune delle quali si configurano come vere e proprie occupazioni militari, come quella ventennale in Afghanistan che ha prodotto almeno 250.000 morti come causa diretta della guerra (ed altre centinaia di migliaia per cause correlate), un costo di 8 miliardi e mezzo di euro per il solo bilancio italiano, l’alimentazione di una generazione di terrorismo fondamentalista ed un paese oggi in mano ai signori dell’oppio. Una missione voluta, finanziata e continuata da tutte le forze politiche dei diversi governi ed il cui fallimento non ha insegnato niente. Questa notizia è passata sostanzialmente sotto il silenzio dei media, senza alcuna indignazione popolare, ma anche “senza quel dibattito ampio ed importante che sarebbe stato necessario dopo 20 anni di presenza militare in Afghanistan con risultati fallimentari sotto diversi punti di vista”, come ricordano Francesco Vignarca e Paolo Vezzati su il Domani del 25 giugno. E nonostante diversi di questi interventi siano in contraddizione con gli articoli 11 e 52 della Costituzione italiana e contrari ai diritti umani, come il finanziamento della famigerata guardia costiera libica anziché delle ong che prestano soccorso ai migranti in mare.
Il 21 giugno il Corriere della sera informa che il Vaticano ha avanzato una richiesta formale, per via diplomatica, al governo italiano per chiedere la modifica – in riferimento al Concordato in vigore tra lo Stato e la chiesa cattolica – di alcuni articoli del disegno di legge che ha come primo firmatario il deputato Alessandro Zan, approvato alla Camera e adesso in discussione al Senato, in relazione alle “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Notizia questa ripresa e rilanciata immediatamente da tutti i media e confermata dal Vaticano che scatena nel centro-sinistra, come sentimento prevalente, la delusione nei confronti di papa Francesco per l’ingerenza della chiesa cattolica nei confronti dello Stato italiano ed obbliga il presidente del consiglio Draghi a ricordare in Parlamento, due giorni dopo, la laicità dello Stato Italiano.
Lo stesso giorno, il 23 giugno, papa Francesco – al termine dell’udienza generale del mercoledì – incontra una delegazione dei portuali di Genova riuniti nel CALP-Collettivo autonomo lavoratori portuali che fanno disobbedienza civile alle navi cariche di armi (italiane e non solo) che fanno scalo a Genova, prima di raggiungere i fronti di guerra, come accaduto per anni per le armi destinate all’Arabia Saudita in guerra nello Yemen e recentemente per le armi destinate ad Israele usate anche nella striscia di Gaza. In entrambi i casi – detto per inciso – in violazione della legge 185/90, che vieta il commercio di armamenti con i paesi in guerra e nei quali non sono rispettati i diritti umani (come per esempio l’Egitto, prioritario partner bellico del nostro paese). I portuali, indagati per questa ragione dalla procura di Genova (non i mandanti delle armi! n.d.r.), dopo essere già stati indicati in passato da Bergoglio come esempio per tutti nella lotta alle guerre, hanno scritto una lettera al papa che quindi li ha ricevuti in Vaticano incoraggiandoli a “continuare così”. Questa notizia, al contrario della precedente, è circolata solo nelle edizioni locali dei giornali.
Aggiungiamo qualche breve riflessione sul complesso di queste notizie.
La prima riguarda il papa. Papa Francesco rappresenta la più autorevole voce globale (ossia che arriva a tutti) rimasta a fare da argine morale ai dilaganti liberismi, militarismi e fascismi vari. Fuori e dentro la chiesa. A prescindere dal d.d.l. Zan – e a prescindere da un Concordato che dà degli ingiustificati privilegi alla chiesa cattolica – in questa fase storica, personalmente, vorrei maggiore, anziché minore, ingerenza morale di papa Francesco nella politica degli Stati. Come, per esempio, il sostegno ai portuali di Genova, indagati da una procura italiana e come le altre infinite volte in cui si è scagliato con veemenza e lucidità contro le enormi ingiustizie economiche, sociali, ambientali e belliche del pianeta, con analisi e accuse specifiche e non con generici ed ecumenici appelli. Oltre agli atti concreti (per esempio, il Vaticano è stato il primo Stato al mondo a ratificare il Trattato ONU per la proibizione delle armi nucleari, cosa che l’Italia non ha ancora fatto) e alle encicliche che propongono visioni di società e di relazioni umane molto più avanzate dei programmi ambientalisti e sociali di molta sinistra di governo. Quindi ci andrei cauto a sommare la propria voce a quella di chi lo accusa quotidianamente considerandolo, proprio per questo, un “antipapa” e punta a farlo fuori, al più presto e con ogni mezzo. E lo dico da non cattolico, seguace di nessuna confessione religione che dà, da sempre, l’8×1000 alla Tavola Valdese.
La seconda riguarda noi. Mi domando se tutti coloro che, giustamente, si stracciano le vesti per l’ingerenza di uno stato – attraverso una nota formale – in violazione della nostra laicità costituzionale, si sono stracciati ugualmente le vesti (e in maniera direttamente proporzionale alla gravità) per la nostra ingerenza in un altro stato – in questi vent’anni di partecipazione all’occupazione militare dell’Afghanistan, con le sue conseguenze di morti (per tacere dell’Iraq e delle altre guerre recenti) – in violazione del pacifismo costituzionale. Considerato che in questi lunghi anni si sono susseguiti nel nostro paese governi di ogni colore politico che hanno confermato e finanziato l’occupazione (e ribadito nei giorni scorsi quaranta ingerenze militari per il 2021) a me pare esattamente il contrario. Come se la bandiera arcobaleno valesse davvero per rivendicare diritti solo se esposta in un senso e quando i diritti da difendere sono i nostri. Mentre nel senso opposto fosse solo decorativa e del diritto alla vita degli altri, in fondo, non interessasse (quasi) a nessuno.
Eppure “fate l’amore non fate la guerra” è uno slogan storico del movimento pacifista e nonviolento internazionale: difronte a queste molteplici ingerenze esso andrebbe risignificato e preso sul serio nella sua complessità, perché il riconoscimento del diritto all’amore per tutte e per tutti, nelle sue differenti declinazioni, non può prescindere dal diritto alla pace per tutte e per tutti, che ne è la condizione preliminare. Dunque l’indignazione e l’impegno contro le ingerenze diplomatiche straniere nella lotta per i nostri diritti individuali – affinché sia davvero credibile e coerente – non può non avere alla base anche l’indignazione e l’impegno attivo contro le ingerenze e le occupazioni militari, le guerre e la loro preparazione – soprattutto quando i nostri governi ne sono promotori – che non minano solo il diritto all’amore, ma più radicalmente il diritto alla vita di altri esseri umani, senza ulteriori mediazioni. Ne avrebbe un gran guadagno, inoltre, anche l’educazione alla nonviolenza per la prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, perché dove prevalgono l’ideologia e la pratica bellica, che generano pedagogia diffusa fondata sulla “ragione” delle armi, dilaga anche ogni altra violenza. Patriarcato e militarismo si sono sempre sostenuti e rinforzati a vicenda.
Peace and love.