Riceviamo e pubblichiamo questo comunicato da unponteper…
Nessun conoscitore esperto dello scenario mediorientale pensa che i bombardamenti possano avere effetti sul conflitto, perché se Daesh (IS) potesse essere sconfitta con attacchi aerei in campo aperto, sulle colonne dei loro blindati, gli USA avrebbero già risolto il problema un anno fa. Sulla base della nostra esperienza sul campo, crediamo che l’enfasi esclusiva sull’intervento militare precluda anzi ogni soluzione politica del conflitto, che richiede un intenso lavoro diplomatico internazionale. In Iraq Daesh ha ancora una forte base di consenso in aree prevalentemente sunnite, accumulata a seguito delle politiche del governo di Al-Maliki e rinforzate dai bombardamenti in corso, che producono inevitabili vittime civili. Schierandosi a fianco del governo di Baghdad, contestato in questi mesi da proteste e mobilitazioni senza precedenti da parte della società civile irachena, l’Italia contribuirebbe a pregiudicare il necessario riavvicinamento tra sciiti e sunniti, chiave di volta di una soluzione politica al fenomeno Daesh.
L’inefficacia e la pericolosità dei bombardamenti è dimostrata anche dal recente attacco in Afghanistan all’ospedale di Medici Senza Frontiere: persino un’organizzazione Premio Nobel per la Pace è stata costretta ad abbandonare la zona davanti a quello che, a tutti gli effetti, deve essere definito un crimine di guerra. Vi sono altri modi per combattere Daesh senza “effetti collaterali” sui civili, ad esempio cominciando ad impedire l’afflusso di risorse finanziarie dagli emirati del Golfo al Califfato, imponendo un embargo sugli armamenti nell’intera regione, e costringendo la Turchia a rendere ermetica la sua frontiera ai mercenari, aprendola agli aiuti umanitari. Ankara, allo stato dei fatti, sta facendo l’opposto obbligandoci, per portare medicinali nella regione kurda del Rojava in Siria, a passare dall’Iraq percorrendo centinaia di km sulla linea del fronte con Daesh. E in questi giorni Un ponte per… ha iniziato a lavorare per conto delle Nazioni Unite su un progetto di peacebuilding per il governatorato di Mosul, ma perché i governi veicolano questi fondi tramite le ONG invece di mettere in campo direttamente la propria forza politica per individuare soluzioni al conflitto?
Infine, la partecipazione italiana ai bombardamenti in Iraq può avere serie conseguenze sull’efficacia e sulla credibilità degli interventi umanitari e di costruzione della pace dei nostri volontari e cooperanti in Iraq. Per questo esprimiamo allarme e dissenso rispetto a un ulteriore coinvolgimento del nostro Paese nel conflitto armato che rischia di pregiudicare il lavoro dell’altra Italia, quella che ogni giorno sta al fianco delle vittime in zone di conflitto, o quella che accoglie in Italia i profughi che riescono a trovare una via di fuga. Anche solo in termini di risorse economiche, quanti centri di accoglienza in Italia, e quanti aiuti per gli sfollati delle minoranze irachene, potrebbero essere coperti con il costo dei bombardamenti?
Per questo chiediamo che l’Italia rafforzi il suo impegno in campo umanitario, a sostegno dei quasi 5 milioni di sfollati interni iracheni che sono parte del conflitto, e in campo diplomatico a sostegno di politiche di inclusione e ricostruzione di un tessuto sociale che Daesh strappa per poi dare protezione ad alcuni segmenti e trarne consenso. Chiediamo inoltre di essere auditi dalle Commissione Esteri e Difesa della Camera e del Senato per poter illustrare il punto di vista di chi sta sul terreno e già intravede gli effetti di una decisione del governo che sarebbe irresponsabile e grave. Invitiamo il movimento per la pace a prestare attenzione a quello che di positivo si muove in Iraq da parte di una società civile coraggiosa, che solo pochi giorni fa ha organizzato un Forum Sociale Iracheno sulla Pace e la Coesistenza a Baghdad, con cui Un ponte per… lavora ogni giorno per far fronte all’emergenza umanitaria e politica in corso. Unitevi a noi.
immagine tratta da banalcrazia.wordpress.com0909