Mi piace che il titolo sia così, tutto di seguito e senza maiuscola iniziale. Ricalca tigre-contro-tigre.
Le mie prime controfiabe sono nate esattamente vent’anni fa. L’idea non è nuova, Gianni Rodari ci aveva già spiegato tutto di quello che può succedere a sbagliare le storie. Il mio pensiero è stato in un certo senso proseguirle, o rovesciarle, o variarle, secondo i casi. In ogni caso approfittare della loro notorietà per divertirmi a mettere in discussione qualche stereotipo femminile.
Cosa è successo a Biancaneve dopo il matrimonio col principe? Si è tramutata in Stancaneve, è esausta per quei sette nani che non vogliono uscire di casa e il principe che la tradisce con la principessa sul pisello, e fa di tutto per reincarnarsi in un’altra fiaba.
E Cenerentola, allora? Alla disperata ricerca del Grande Amore, è diventata Cenerantola e scorrazza da un ballo all’altro, non più ingenua fanciulla angariata dalle sorellastre ma arrochita e trasandata tessitrice di trame. Ha imparato a memoria la sua fiaba e vorrebbe essere lei a determinarla ma, ahimè, non funziona.
Similmente è successo con La vera storia del principe Azzurro, che non indaga una fiaba in particolare ma uno stereotipo sì, questa volta maschile. Bisognerebbe forse essere bello, alto, forte, intrepido… Azzurro è gay, la madre, soffocante, dopo avergli scelto quel nome lo ha costretto a vincere il concorso da Principe dell’anno, ma il suo desiderio è sferruzzare una sciarpa per gli inverni del lupo e vivere felice accanto al nano che ama. O con Cappuccetto che, se non fosse eternamente rosso ma qualche volta rotto, oppure ritto, ratto, rutto, gosso, goffo, mosso, cotto e tanti aggettivi ancora, sarebbe Cappuccetto tutto, avrebbe mille altre vite e come lui la nonna, il lupo, la mamma, il cacciatore. Quando si dice il linguaggio.
Fin qui siamo a vent’anni fa. Poi arriva il 2019, un anno burrascoso e Alberto, con cui leggevo ad alta voce le prime controfiabe, mi scuote: “Abbiamo bisogno di leggerezza, tutti e due. Perché non ricominciamo?”
Sì, leggiamole ancora. Quasi quasi le potrei anche ripubblicare. E già che ci sono ne potrei aggiungere altre. In un arco breve mi sono uscite dalla tastiera.
Hanselovic e Greteluska sono due fratellini dell’est che arrivano in Italia come minori stranieri non accompagnati perché i genitori sono poverissimi e li devono allontanare.
Fiammetta è La piccola fiammiferaia nel bosco. Sua madre, la Bella Addormentata, non ha mai smesso di bucarsi ed è palesemente inaffidabile così la bimba, trascurata e sola, fa di tutto per vivere la sua età ma non riesce ad inserirsi a scuola, le istituzioni se ne lavano le mani una dopo l’altra, solo un signore giocherellone – purtroppo – si accorge di lei.
Se si crede che il femminicidio sia un fenomeno contemporaneo basta ricordarsi di Barbablù, per me Barbainsù. Il gentiluomo è complessato per il suo aspetto fisico e non tollera che si rida di lui, con questa scusa fa fuori una moglie dietro l’altra. Ci penserà l’ultima, la protagonista, a risolvere la faccenda con un colpo di scena che lascio alla storia.
C’è infine Gli abiti nuovi dell’Impostore, sulla politica bugiarda e su chi si fa accalappiare. Ne abbiamo, di imbonitori, che enfatizzano problemi per darci le loro soluzioni, alimentano paure ed emergenze per farci indossare armi e certezze. Ci vorrà – questa volta non un bambino ma – un giovane per dire ad alta voce che il Re è nudo.
Mescolate insieme, le controfiabe recenti sono parecchio diverse da quelle della prima ora. Hanno in comune il privilegio di essere introdotte da una piccola frase, un esergo tratto dall’Odiario di Alì Ne’el Gilud. Il clima surreale è rimasto nel tempo, certo con le ultime si ride un po’ meno, risentono dei miei anni, di alcune consapevolezze. Diciamo che il gioco ha un sapore più amaro.
Il libro è uscito al principio del 2020. Si è messo di mezzo il lockdown a impedire le presentazioni ma un paio ne abbiamo fatte, una prima della pubblicazione, a Ferrara nel giorno del mio compleanno, l’altra appunto a Bologna nella rassegna “Notti orfeoniche”. Quando ci proviamo, con Alberto Urro e con me c’è anche Andrea Trombini. Ci vediamo raramente insieme per altre ragioni e erano passati davvero vent’anni dalle letture precedenti, ma ritrovarci dopo tanto tempo con lo stesso affiatamento è uno di quei doni che l’amicizia riserva.
Per la colonna sonora, a Ferrara Vanni Valieri ha suonato la fisarmonica per noi, a Bologna Michele Dalpozzo è stato un tecnico del suono attento e pieno di soluzioni.
Eh sì, la musica ci vuole. Per fortuna Andrea è strepitosamente bravo, oltre che a leggere, a cantare. Ricordate come fa quella canzoncina? “I sogni son deeeeee-leteri…”
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