Gaël Giraud – economista, direttore di ricerche al CNRS (Centre national de la recherche scientifique) di Parigi – ha ripreso recentemente il tema. Ne ha saggiato la praticabilità, sia come reddito universale non condizionato, che come giusto salario per lavoratrici e lavoratori tutti (vedi qui). Ci sono occupazioni essenziali per la vita di tutti che non sono riconosciute. Basti pensare al lavoro domestico che grava sulle donne. A me ha ricordato un argomento che mi sta a cuore: l’effettività dei diritti proclamati inviolabili e costantemente sotto attacco anche nei paesi più ricchi e fortunati.
La risposta è nella Costituzione e ci risparmia una pur interessante rassegna delle più importanti, solenni e aggiornate dichiarazioni dei diritti. L’articolo 3 – consapevole che non basta richiamare, al primo comma, la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza alcun tipo di distinzione, per garantire l’effettività dei diritti – nel secondo comma afferma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Oggi, oltre alla Repubblica, il compito spetta all’Europa – ne siamo cittadini – e alle varie organizzazioni internazionali, a partire dall’ONU, che coinvolgono tutte le persone al mondo. Rimuovere gli ostacoli non è facile. La prima cosa è non aggravarli, non moltiplicarli, come si usa fare sotto il nome di riforme, della scuola, della sanità, del lavoro, delle tasse, della sicurezza… producendo minore istruzione e salute, pessimo lavoro, iniquità, insicurezza…
La Costituzione indica un passo necessario, nella giusta direzione, con l’articolo 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Riconosce, non attribuisce, perché i diritti ci appartengono e le istituzioni sono lì per garantirli nella loro effettività. E c’è un aspetto che tocca a noi tutti: “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà”. Se questa non c’è i diritti restano sulla carta, costituzionale o no che sia. La “solidarietà politica, economica e sociale” inizia col pagare le imposte per “concorrere alle spese pubbliche”. Gli evasori non sono solo parassiti, ma attentano ai diritti, che sono tali solo se di tutti. Nessuno però li condanna. Piuttosto li si invidia e per loro sono pronti i condoni. La solidarietà però si può imparare non solo a scuola. Il lavoro è stato un luogo privilegiato, nelle lotte che hanno teso a migliorarlo e a dare, quindi, alla nostra convivenza repubblicana un più solido fondamento, secondo la previsione dell’articolo 1. La solidarietà prima si apprende, e concretamente si sperimenta, e meglio è.
“Forse è giunto il momento di pensare” alla proposta di Ernesto Rossi, “Abolire la miseria”, scritta in carcere e al confino e ultimata tra il ’41 e il ‘42. “Bisogna unire tutte le nostre forze per combattere la miseria per le stesse ragioni per le quali è stato necessario in passato combattere il vaiolo e la peste: perché non ne resti infetto tutto il corpo sociale”. Sono ragioni che la pandemia ha richiamato alla nostra attenzione. Al servizio sanitario e alla scuola si doveva aggiungere, secondo la proposta di Rossi, la fornitura gratuita dei beni essenziali: alloggio, vitto, vestiario. A ciò avrebbe provveduto l’esercito del lavoro, formato da ragazze e ragazzi che, “terminata la loro preparazione scolastica, sarebbero obbligati a prestare servizio in tale esercito, per un certo periodo di tempo: mettiamo due anni”. A proposito degli studi ricordo che la scuola per Rossi doveva essere gratuita per tutti e in tutti i gradi. Inoltre “non si dovrebbe mai fare interrompere gli studi ai giovani che fossero bocciati agli esami, giacché da ogni giovane è sempre possibile tirar fuori qualcosa; ed è interesse collettivo che tutti ottengano un’istruzione completa corrispondente alla loro capacità”.
Nella sua lettera papa Francesco dice del fondamento del “progetto di sviluppo umano integrale… sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: tierra, techo e trabajo (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro)”. Sono i beni essenziali dei quali scrive Ernesto Rossi. Giovani che li procurino a sé e a chiunque ne abbia bisogno svolgerebbero la loro personalità nel modo migliore (secondo l’auspicio dell’articolo 2 della Costituzione). Potremmo contare su leve successive di cittadini, formati alla “solidarietà politica, economica e sociale” e quindi su sicuri e crescenti diritti, politici, economici e sociali, per tutti.
Scrive ancora papa Francesco alle donne e agli uomini dei movimenti popolari: “La nostra civiltà̀… ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione. Voi siete i costruttori indispensabili di questo cambiamento ormai improrogabile”. Io penso anche a questo esercito di pace, a questo servizio civile davvero universale, necessario e possibile, intravvisto da Ernesto Rossi ottanta anni fa.