Nel gennaio scorso a Cardito, in provincia di Napoli, muore Giuseppe, 7 anni, massacrato di botte perché giocando ha rotto la sponda del lettino nuovo. Confessa il compagno della madre, un 24enne italiano figlio di genitori tunisini. Ferita anche la sorella di Giuseppe, 8 anni. Scampata ai colpi ma non alla violenza la sorellina di 4 che la mamma ha nascosto sotto le coperte. Mesi dopo anche la madre finisce sotto indagine.
Il 17 aprile in provincia di Frosinone muore Gabriel Feroleto, 2 anni, strangolato dalla madre, pare perché aveva interrotto i genitori durante un rapporto sessuale. La signora è italianissima, ha 29 anni. Qualche tempo dopo anche il padre del piccolo viene indagato.
Pochi giorni fa, il 23 maggio, Leonardo, un bimbo di 19 mesi, arriva già morto all’ospedale di Novara. I genitori parlano di una caduta dal letto ma i sanitari non ci credono visto che il bimbo ha segni di lesioni su tutto il corpo. Quello fatale, un colpo all’addome che gli ha provocato una emorragia al fegato. I, si fa per dire, motivi al momento in cui scrivo non si sanno ancora, mentre si legge che la signora è in attesa del secondo figlio, comprensibile, una così bella famiglia. Ancora, risulta che il padre sia un pluripregiudicato per reati odiosi e che ancora una volta i genitori, entrambi italiani, sono tutti e due indagati. Non si può dire che certe coppie siano poco affiatate…
Diamoci pace. Le famiglie non sono sempre il posto più sicuro in cui crescere. Il rapporto curato dall’Istituto di ricerca Eures nel 2015 rileva che in Italia, tra il 2000 e il 2014, sono stati 379 i bambini uccisi da uno o entrambi i genitori, naturali o acquisiti, con una media di 25 bambini all’anno e una punta di 39 nel 2014. Sempre da fonte Eures risulta che sommando i fatti dei tre anni successivi – 18 nel 2015, 25 nel 2016 e 25 nel 2017 – dal 2000 al 2017 nel nostro Paese 447 bambini sono morti per mano dei genitori naturali o acquisiti.
Carlo Lucarelli, bravo scrittore, sceneggiatore ecc., ripete spesso che la sicurezza, se proprio vogliamo affidarla alla videosorveglianza, la raggiungiamo installando telecamere nei salotti o nelle camere da letto. Lo dice soprattutto da quando è anche presidente della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati e ha a che fare con le richieste di aiuto successive a gravi violenze, nella gran parte avvenute in famiglia.
La proposta è irrealizzabile, va da sé, ma di occhi aperti abbiamo bisogno. Leggo che, per un infanticidio avvenuto a Bari nel 2016 per mano del padre della piccola di pochi mesi, il PM, oltre a chiedere l’ergastolo per l’omicida, ha espresso la volontà di mettere sotto inchiesta l’assistente sociale e la psicologa che avevano scritto una relazione positiva sulla famiglia, così allontanando la possibilità che la bambina venisse separata dai genitori. Avrebbe significato salvarle la vita.
Gli occhi aperti ci vogliono anche per prevenire, o per cogliere i segnali non appena si presentano. Dai 6 anni in poi si confida negli insegnanti, ancor prima se i bimbi frequentano la scuola dell’infanzia, ma non tutti ci vanno. Pensiamo allora alla rete familiare se c’è, ai pediatri, ai medici di Pronto Soccorso, ai vicini di casa sensibili… ma non possiamo accontentarci del caso, o della buona volontà.
L’OMS, che da tempo insiste sulla prevenzione del maltrattamento all’infanzia, individua due strumenti fondamentali: il sostegno delle genitorialità a rischio e l’home visiting. Quest’ultimo è un’evoluzione della prassi, in uso anche nella mia regione qualche decennio fa, di far visita ai neo-nati e ai neo-genitori a breve distanza dal parto per cogliere eventuali segnali di difficoltà. Nell’home visiting la prassi viene riproposta con una migliore strutturazione, una compresenza di operatori (assistente sanitaria dapprima, poi educatore) ed elementi di scientificità più solidi. Il Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e abuso all’infanzia) ha messo al lavoro per tre anni una commissione scientifica che su questo ha prodotto delle buone Linee guida.
È provato che l’home visiting, quando viene utilizzato, è davvero in grado di cogliere precocemente i fattori di rischio e i primi segnali del maltrattamento affinché si possa intervenire di conseguenza, con quel particolare bilanciamento di controllo e sostegno ai genitori che è il cuore di ogni intervento di tutela e non è scevro da errori, certo, ma è l’unica protezione possibile per chi non può difendersi da solo.
L’home visiting, quando viene utilizzato… cioè raramente, al pari delle segnalazioni precoci della scuola e altro ancora, invischiati come siamo nella mitologia familiare. Piangiamo Giuseppe, Gabriel, Leonardo (di tanti che per fortuna vengono curati in tempo neppure sappiamo il nome) come fossero incappati nella tana di un mostro, maschio o femmina, dal quale gli altri bambini grazie al cielo sono preservati, al sicuro accanto ai loro genitori.
Ci vuole invece la politica, che anziché gridare al mostro scelga di proteggere l’infanzia con risorse adeguate, e ci vogliono scelte organizzative, percorsi di formazione, e il diffondersi di una visione più realistica sull’infanzia e sulla famiglia, che stia dalla parte delle persone prima che della reputazione.