A otto Paperoni la ricchezza di 3,6 miliardi di poveri” (4° rapporto Oxfam sulla diseguaglianza economica). Potrebbe dunque non essere vero che ogni ricco in più è un povero in meno. Mentre che i poveri diventino sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi sarebbe sviluppo dei rispettivi talenti e vocazioni.
Il nostro Papa, persona informata sui fatti, non aveva atteso il rapporto per scrivere: “Alcuni ancora difendono le teorie della ricaduta favorevole, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare” (Evangelii gaudium, novembre 2013).
Il Papa non crede dunque al «trickle-down», allo «sgocciolamento»: quando il liquido (la ricchezza) all’interno del bicchiere del ricco cresce non può che tracimare, sgocciolare in basso, riempiendo i bicchieri dei ceti medi e dei poveri. “Una marea che cresce solleva tutte le barche”, stima Alan Blinder, non il più feroce tra gli economisti, con una diversa immagine. Il Papa vede, e pare anche a me, che alcune sollevi, altre, la maggior parte, affondi. E ha ribadito in Laudato si’, maggio 2015: “conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui”. Lo ha ripetuto in ogni altra occasione attirandosi l’accusa di vetero marxista. Penso che sullo “sgocciolamento” i suoi testi di riferimento siano più antichi.
Luca 16, 19-21, “C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”. Da piccolo credevo che il ricco avesse nome Epulone e che Lazzaro non fosse un nome proprio, ma volesse dire povero, stracciato, malato, morto da resuscitare. Stante la mia ignoranza mi affido perciò all’autorevole commento di Bruno Maggioni, dal 4 luglio ’91, prelato d’onore di Sua Santità.
“Il ricco epulone adopera la mollica per pulirsi le mani di grasso (era l’uso) e poi le lascia cadere sotto la tavola. Il povero Lazzaro si sarebbe accontentato di quelle briciole. Ma nessuno badava a lui…Il ricco è un gaudente e la sua principale occupazione sembra essere quella di godere: nuota nell’abbondanza e nei piaceri. Invece il povero Lazzaro muore nell’indigenza: giace debole e ammalato, senza potersi muovere, incapace persino di scacciare i cani randagi che gli danno fastidio”. Non so se i cani dessero fastidio a Lazzaro o gli facessero compagnia, ma le briciolone, cadute dalla tavola, sospetto fortemente le abbiano mangiate loro. Continua Maggioni: “il ricco non è condannato perché violento ed oppressore, ma semplicemente perché vive da ricco, ignorando il povero”. Così continueranno a fare, mi permetto di aggiungere, i cinque fratelli sopravvissuti al ricco – che li evoca da morto nel tormenti – epuloni quanto lui e timidi precursori dei paperoni evocati dal rapporto Oxfam.
Didascalia dell’illustrazione sgocciolamento
Papa Francesco “C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri”