Quando ho letto “Caivano” ho pensato “Fortuna e Antonio”. Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni morta a Caivano nel 2014, scaraventata dalla finestra dal suo abusante che non ammetteva rifiuti, e Antonio Giglio, il bimbo che l’anno prima era morto scivolando, o buttato, dalla stessa finestra. Pensavo ci fossero notizie sui processi a chi ha fatto loro del male, sarebbe stato meglio. Invece i fatti erano altri. Brutto segno: quella tragedia è servita a poco se si ripropone, diversamente, nove anni più tardi. Chissà se sarà una spinta sufficiente a cambiare qualcosa.
Giorgia Meloni ha accolto l’invito di don Maurizio Patriciello, parroco a Caivano, e ha promesso di “bonificare il territorio” coniugando controllo, socialità, educazione, riqualificazione urbana. Ce lo auguriamo. Dopo la morte di Fortuna analoghe promesse hanno retto il tempo di un telegiornale. Più avanti c’è stato un incontro tra don Patricielli e la ministra Lamorgese nella primavera del 2022, quando al parroco, che non si ferma e perciò viene minacciato, è stata assegnata una scorta. Ad affiancarlo, fin qui, il terzo settore, con progetti sostenuti dall’impresa sociale “Con i bambini”. È diretta da Marco Rossi Doria, che tra tante cose è stato anche uno straordinario maestro di strada.
Intanto seguiamo l’evolversi della cronaca giudiziaria: violenze sessuali su due bambine di 10-12 anni protratte per almeno due mesi; la partecipazione di 6 ragazzi ma il coinvolgimento anche di altri, in tutto forse una quindicina, e di una fascia d’età piuttosto ampia, da giovanissimi infraquattordicenni a uno o due neomaggiorenni; la probabile presenza di alcuni figli di camorristi, le minacce alle famiglie delle vittime per aver denunciato, guastando gli affari fiorenti dello spaccio nelle piazze del quartiere.
Se cuciamo questi eventi viene spontaneo associare gli stupri alla cultura camorristica. Non è l’unica ipotesi. Per i Radicali è colpa del proibizionismo. Per i gruppi femministi, del patriarcato. Per Rocco Siffredi, della pornografia a un’età troppo precoce. Per alcuni studiosi, dell’uso perverso del cellulare. Forse tutte queste cose insieme. Secondo certi politici dipende dall’incontenibilità degli ormoni, da raffreddare con la castrazione chimica ma, secondo altri, di un degrado sociale curabile soltanto con le forze armate.
Per stare a fatti recenti, le violenze di Caivano assomigliano di più allo stupro di gruppo avvenuto a Palermo o alla morte del giovane musicista napoletano? Dobbiamo parlare di maschilismo o di sopraffazione? Se crediamo – io ne sono convinta – che le due cose non si equivalgano, poiché la sopraffazione può avere tante radici, probabilmente bisogna studiare la realtà tenendo conto dell’intreccio tra diverse dimensioni. Ben riconoscendo la trasversalità della violenza di genere, abbiamo però bisogno di distinguerne le espressioni in contesti sociali diversi, che le attribuiscono diversi significati. Distinguere, non per ghettizzare ma per capire più profondamente e intervenire meglio. Il sociologo Marco Omizzolo nel piccolo libro Libere per tutte descrive l’intersezionalità della violenza come trovarsi «nel bel mezzo del traffico di un incrocio, in persistenti stati di maschilismo, razzismo, discriminazione, violenza. Condizioni di sfruttamento e di emarginazione che interagiscono tra loro nei sistemi istituzionali, politici e sociali… nelle relazioni familiari e nei rapporti di lavoro».
Non si capiscono gli stupri di Caivano se non si guarda all’ambiente in cui sono maturati. Lo scrittore napoletano Maurizio Di Giovanni su La tecnica della scuola del 26.08.23 descrive il Parco Verde dove «manca qualsiasi proposta culturale per i ragazzi, dove non c’è alcuna formazione, dove la dispersione scolastica è indicata dal fatto che 3 minorenni su 10 non sono noti all’anagrafe scolastica e stanno in strada tutti i giorni». (Erano 5 su 10 solo qualche anno fa, prima che nell’istituto comprensivo si insediasse l’attuale preside, Eugenia Carfora).
È un quartiere giovane, Caivano. Diversamente da città attempate come la mia e come tante in Italia, potrebbe essere uno straordinario laboratorio dove investire sulle future generazioni. Invece – Vita del 29 agosto scorso – «seimila abitanti, 1.160 sono minori, e nessun servizio. Qui ci sono 12 piazze di spaccio e bambini che giocano in mezzo alle siringhe usate dai tossicodipendenti e poi buttate tra le aiuole. Il Parco Verde di Caivano è un luogo che la camorra si è mangiato pezzo dopo pezzo».
Le alternative vengono dal Terzo Settore. Vita intervista tra gli altri Bruno Mazza, educatore, fondatore dell’associazione “Un’infanzia da vivere” cui nell’ottobre 2021 sono stati bruciati i furgoni utilizzati per accompagnare i ragazzi del quartiere a fare sport. Mazza non ha paura di raccontare il suo passato di giovane spacciatore che ha cambiato vita grazie allo studio, conosciuto in un istituto penale minorile, mentre il fratello e tanti amici sono morti per droga. Deposta l’ansia di vendetta, una crescita come la sua sarebbe il miglior futuro per i giovani stupratori, senz’altro preferibile alla castrazione chimica. Bisogna trovare il modo di accompagnarli. Di prevenire violenze future.
«In un territorio dove la camorra si serve degli adolescenti imbizzarriti e senza guida noi dobbiamo arrivare prima», ha dichiarato Mazza. «È il sistema camorristico che li allontana sempre più dall’educazione. E lo stesso vale per alcuni contesti familiari. La mamma di una delle bambine abusate è un’alcolista, il papà un tossicodipendente, ma gli assistenti sociali qui non si sono mai visti».
Indirettamente gli risponde, con il comunicato ripreso anche da Redattore Sociale del 29.08.23, Gianmario Gazzi, presidente dell’ordine degli assistenti sociali, quando parla di un comprensorio ampio e difficile di cui Caivano fa parte. «Trentaseimila abitanti, tre assistenti sociali, l’ultima delle quali assunta una settimana fa. Dovrebbero essere sette per legge».
Verrebbe voglia di porre la questione a De Luca, il presidente della Regione Campania, che commentando gli stupri ha chiesto un anno di militarizzazione. Dopotutto le politiche sanitarie e sociali sono competenza delle Regioni, se i servizi del territorio sono gravemente sguarniti a chi dovremmo chiedere spiegazioni se non a lui? La politica che nelle ultime settimane si risveglia a destra e a sinistra è la stessa che ha posto le premesse per quanto è accaduto.
Le ragazzine hanno parlato. Qui sta la loro forza. Spetta agli adulti rispettarle, come ogni vittima di violenza, e sostenerle in modo competente. Al contempo, di fronte a un territorio tanto segnato c’è da augurarsi davvero un intervento che intacchi la violenza strutturale, per dirla con Galtung, e non si accontenti di qualche cerotto. Dice bene Patriciello quando dichiara: «Se ci spettano 20 vigili urbani ne vogliamo 20, non uno di meno». E ha ragione la dirigente scolastica Eugenica Carfora a chiedere gli insegnanti più bravi d’Italia. Sempre, ma in alcuni contesti di più, per insegnare ci vuole ben più che laurea e abilitazione. La scuola è potente, ed è pericolosa. Non per niente tra le vittime delle mafie ci sono preti e educatori, oltre che giornalisti, magistrati, sindacalisti, poliziotti, imprenditori… La cultura rende consapevoli della propria dignità, e la dignità è il contrario della sottomissione.
Don Patriciello su Avvenire del 2.09.23 raccomanda tre principi: pudore, fraternità e Costituzione. Un buon programma.
(immagini di Mauro Biani)