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Grembiuli e moschetto

DiDaniele Lugli

Mag 19, 2019

Sul New York Times un articolo dedicato alla Mass Shooting Generation racconta dei giovani statunitensi cresciuti a colpi di stragi di massa. ‘Fight if You Must’: Students Take a Front-Line Role in School Shootings (‘Combatti se devi’: gli studenti assumono un ruolo di prima linea nelle sparatorie a scuola) è scritto nel titolo. È una rassegna di avvenimenti nei quali i giovani hanno reagito diversamente e con diversi risultati e iniziative volte a prepararli all’eventualità. Ci sono studenti che hanno sacrificato la vita affrontando l’assassino e salvando i compagni. Esercitazioni su cosa fare durante una sparatoria sono diventate di routine nelle scuole di tutta la nazione, in alcuni casi fin dalle materne. L’addestramento è volto a mettersi al sicuro, fuggendo, nascondendosi, combattendo se costretti.

L’estrema violenza presente nelle scuole non suggerisce solo questo. Dagli studi, che hanno abbondante materiale su cui esercitarsi, risulta l’importanza di prevenire la violenza, con diversi approcci per aiutare le persone che sono turbate e spaventate. Un modo per identificare potenziali minacce è dare alle comunità –– in particolare studenti, genitori e insegnanti –– la capacità di segnalare le preoccupazioni. Non cresce solo la violenza di massa ma pure il suicidio. Ci si interroga su programmi efficaci di individuazione e intervento quando qualcuno sta soffrendo. 

Nel fermo immagine della telecamera di sicurezza Dylan Klebold (a destra) e Eric Harris con le armi in pugno nella caffetteria della Columbine High School

Susan Payne dopo la sparatoria della Columbine ha fondato Safe2Tell, un’iniziativa di prevenzione della violenza giovanile in Colorado. Ora lamenta che, 20 anni dopo, le scuole non hanno ancora adottato un approccio coerente per cercare di prevenire sparatorie di massa. “Possiamo fare un lavoro migliore in questo paese, e penso che abbiamo visto un sacco di movimento in seguito alla tragedia di Parkland”. In quella scuola i morti e feriti, opera di un ex allievo, hanno superato quelli di Columbine. La Payne, che ha lavorato nelle forze dell’ordine per 28 anni, sostiene che “Abbiamo bisogno di intervenire prima, e dobbiamo renderci conto che la cultura e il clima in una scuola sono così importanti”.

In Italia siamo fortunati. La situazione non è ancora così grave e un ministro –– sa tutto di sicurezza, scuola e tanto altro –– indica come prevenire: grembiuli e moschetto. Sui grembiuli ha l’approvazione del ministro dell’istruzione, sulle armi quella di chi le vende.

Geniale la proposta dei grembiuli. Non saranno di canapa e l’orbace è troppo pesante. Vedremo. Qualcuno potrebbe pensare che i problemi siano piuttosto i miliardi sottratti alla scuola dal 2010 in poi, il fatto che la spesa in istruzione sul Pil sia del 4% e non del 7% come nei paesi nordici, o che come percentuale nella spesa pubblica non arrivi all’8%, contro una media europea superiore, o che l’abbandono precoce della scuola riguardi uno studente su sette (uno su cinque al sud) o che quasi la metà alla fine delle scuole medie sia ben poco capace di leggere, scrivere, fare di conto. Inutile aggiungere che per numero di laureati siamo i penultimi nell’Unione europea. Ancora non si è pronunciato, il super ministro, sull’abbigliamento acconcio per gli universitari.

Non è da meno la proposta di armare le persone per bene invece di disarmare quelle per male, che vanno in casa a rubare. È un contributo anche a un settore importante dell’economia. Promuovere la vendita di armi garantisce però più omicidi, suicidi e infortuni. Siamo veramente indietro in questa classifica. Gli omicidi in Italia –– dove quasi nessuno va in giro armato –– sono meno di 400 all’anno contro i 66.000 del Brasile, i 30.000 degli Stati Uniti e in Messico dove tutti si armano per paura. Basterebbe mettere al bando le armi – la loro detenzione, il loro commercio e la loro produzione – per realizzare, con il monopolio pubblico della forza, il passaggio dallo stato di natura alla società civile teorizzato più di tre secoli fa da Thomas Hobbes e così porre fine a questa strage, della quale i soli beneficiari sono oggi i fabbricanti di armi e il ceto politico con essi colluso e da essi corrotto osserva Luigi Ferrajoli, giurista apprezzato in tutto il mondo. Che si presenti alle elezioni immagino sarebbe la reazione del ministro Ghe pensi mi. Quando ci saranno le sparatorie nelle scuole, nel frattempo riempite di telecamere, non mancherà una risposta alla quale nessuno aveva pensato.

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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