Se critichi la propensione alla guerra di Usa, UE e Italia, se pure non ti vengono attribuite simpatie per Russia e Cina, sei accusato di scarso realismo. Così fan tutti. Si vede che non c’è altro da fare. I nemici ci sono. Ora sono in primo piano potenze minacciose e aggressive, senza dimenticare stati canaglia e terrorismo. Ci dobbiamo difendere. Fortunatamente siamo dalla parte dei giusti e degli invincibili, gli Stati Uniti. Al loro seguito la vittoria è sicura. Segnalo come particolarmente interessante – ne ho tratto notizie e ispirazione – un bell’articolo del “Mulino”.
Ventuno anni fa Bush Junior ci schiera contro l’axis of evil: “Paesi come questi (Iraq, Iran, Corea del Nord) e i loro alleati terroristi costituiscono un asse del male… La storia ha chiamato l’America e i suoi alleati all’azione ed è nostra responsabilità e privilegio combattere la battaglia della libertà”. Ora è la Russia in primo piano – ma alle sue spalle si intravede la Cina – a guidare l’asse del male. Biden, un mese fa a Varsavia assicura: “Le democrazie del mondo saranno a guardia della libertà oggi, domani e per sempre. Perché è questa la posta in gioco: la libertà”. Ottantatré anni fa la posta in gioco non è la libertà, ma un altro non disprezzabile obiettivo – pace con giustizia – nella dichiarazione di guerra dell’Italia. “L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo”.
Com’è finita la seconda guerra lo sappiamo. Avrebbe potuto finire ben peggio con la vittoria della Germania nazista e dell’Italia fascista, tacendo del Giappone.
Limitiamoci a considerare un paio di guerre del nuovo millennio, condotte per i diritti umani, la libertà, la democrazia e vinte rapidamente. Dato il loro carattere la partecipazione del nostro paese non viola l’art. 11 della Costituzione, checché dicano facinorosi pacifisti.
Afghanistan. Non è passato un mese dagli attentati dell’11 settembre 2001, il 7 ottobre inizia la guerra e l’invasione dell’Afghanistan da parte degli Usa e alleati. Poco più di due mesi e nel dicembre Hamid Karzai è già a capo dell’amministrazione provvisoria. Sarà poi presidente eletto fino al 2014. La guerra è vinta. Per assicurare una “libertà duratura” – Enduring Freedom – la presenza degli alleati si rafforza e protrae. Dura vent’anni e si conclude con un drammatico ritiro nell’estate dello scorso anno. La libertà e i diritti umani che residuano possono essere da tutti facilmente valutati.
Iraq. 20 marzo 2003, Bush Junior annuncia l’operazione speciale: deporre Saddam Hussein e distruggere le armi di distruzione di massa accumulate. Prove farlocche presentate all’Onu lo attesterebbero. Passa appena il mese di aprile e il 1° maggio Bush dichiara la “missione compiuta”. È un trionfo. Truppe italiane, manco a dirlo, anche qui partecipano a fini umanitari. Il 23 maggio l’esercito iracheno è dissolto. Comincia però la guerra vera. A novembre c’è la strage di Nassiriya. Si rafforzano reti terroristiche ecc. Nel 2011 gli americani se ne vanno.
Nulla dico delle guerre di Siria e Libia, che iniziano allora e dei disastrosi interventi degli Usa e della Nato. La partecipazione italiana in Libia è particolarmente masochistica. Nessun supporto si riesce a dare alle primavere arabe. Sappiamo solo bombardare e, talora, invadere. Dovremmo avere appreso che folgoranti vittorie, vere e proprie guerre lampo, si trasformano in durature tragedie, in sconfitta, e fin discredito, dei diritti umani e della democrazia, per la cui affermazione si dice di combattere. La guerra, come sa la dichiarazione costitutiva dell’ONU e la nostra Costituzione, è solo flagello, portatore di indicibili afflizioni all’umanità, offesa alla libertà dei popoli e fallimentare mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Gli Stati Uniti d’America sembrano convinti che i loro interessi siano gli interessi del mondo, che la loro prosperità sia la prosperità del mondo. Se l’incrementiamo anche noi ne beneficiamo. Sono investiti di una missione di difesa della libertà e della democrazia, naturalmente coincidente con la loro pratica politica, economica, sociale. Seguirli – come vassalli o valvassori, perfino valvassini – vuol dire essere partecipi di questa straordinaria missione. Se non deriva direttamente da Dio ne è certo benedetta, come ribadito nel discorso in Polonia. “Let us move forward with faith and conviction and with an abiding commitment to be allies not of darkness, but of light. Not of oppression, but of liberation. Not of captivity, but, yes, of freedom. May God bless you all. May God protect our troops. And may God bless the heroes of Ukraine and all those who defend freedom around the world” (Andiamo avanti con fede e convinzione e con un impegno costante ad essere alleati non delle tenebre, ma della luce. Non dell’oppressione, ma della liberazione. Non della prigionia, ma, sì, della libertà. Che Dio vi benedica tutti. Che Dio protegga le nostre truppe. E che Dio benedica gli eroi dell’Ucraina e tutti coloro che difendono la libertà nel mondo”. Ma noi da Capitini abbiamo appreso che “Non esiste investitura a una chiesa, a uno Stato, a una gerarchia; ma nel reale agire e tendere alla giustizia avviene, momento per momento, l’investitura”. E l’agire per i diritti di tutti, per la liberazione di tutti, per l’esercizio della sovranità di tutti non può avvenire che con mezzi conformi al fine.
In primo luogo questo significa rispettare il diritto e le istituzioni che ci siamo dati per rendere un po’ meno ferini i nostri rapporti. Della Corte penale internazionale, ad esempio, si torna a parlare per un mandato di cattura nei confronti di Putin. Che sia un criminale, in pace e in guerra, a me, a differenza dei suoi estimatori di ieri e ora al Governo, non pare dubbio e non da ora. È infondato nei presupposti e carta igienica, quanto al valore legale, il mandato della Corte, secondo il Cremlino. I paesi la cui sovranità deriva dal cielo, come Usa, Russia, Cina, Israele, non riconoscono infatti la corte dell’Aja. È comunque una decisione giustificata secondo Biden.
Gli Usa non hanno bisogno di esprimersi volgarmente. Dall’agosto 2022 hanno una legge, l’American Service-Members’ Protection Act, fatta apposta. Prevede di difendere con qualsiasi mezzo militari o funzionari Usa da “accuse di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità da parte di una corte di cui gli Stati Uniti non sono parte”. Proprio qualsiasi mezzo, tanto che la legge è nota con il nickname di “Hague Invasion Act” (Legge sull’invasione dell’Aia). Possono fare quello che vogliono e non rispondere di nulla ovunque. È una licenza, planetaria, di uccidere, fino al genocidio, non solo in Francia come la perfida Milady nei tre moschettieri: C’est par mon ordre et pour le bien de l’État que le porteur du présent a fait ce qu’il a fait. 3 août 1627 – RICHELIEU.
Dall’Europa potremmo aspettarci di più, anche nelle presenti difficili circostanze. Alberto Negri ci ricorda Camus, in un incontro del 28 aprile 1955 ad Atene: “La civiltà europea è in primo luogo una civiltà pluralista: è il luogo della diversità delle opinioni, delle contrapposizioni, dei valori contrastanti e della dialettica che non arriva a una sintesi… ed è ciò che bisogna preservare”. Quattro anni dopo, giovane federalista, penso che la pace è trasformazione dei rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici. Perciò lo Stato federale è strumento della pace e la federazione europea è tappa per federare l’intero pianeta. Sembra d’accordo con Camus il Papa. Quella europea “non può essere un’unità uniforme, che omologa… dev’essere un’unità che rispetta e valorizza le singolarità, le peculiarità dei popoli e delle culture… nella convergenza delle diverse fonti di pensiero e di esperienze storiche”. Questo può essere “il progetto Europa nella storia di oggi”, senza dimenticare il suo valore fondamentale che è la pace. “Tutti i popoli europei partecipano all’impegno di solidarietà con il popolo ucraino… A questa corale risposta sul piano della carità dovrebbe corrispondere, ma è chiaro che non è facile né scontato, un impegno coeso per la pace. La cosa “è molto complessa, perché i Paesi dell’Unione Europea sono coinvolti in molteplici alleanze, interessi, strategie, una serie di forze che è difficile far convergere in un unico progetto”. È certo che “la guerra non può e non deve più essere considerata come una soluzione dei conflitti”. Se i Paesi dell’Europa di oggi non condividono questo principio, “allora vuol dire che si sono allontanati dal sogno originario”. Se invece lo condividono, “devono impegnarsi ad attuarlo, con tutta la fatica e la complessità che la situazione storica richiede”. Perché “la guerra è un fallimento della politica e dell’umanità”.
Non vedo quest’impegno nelle istituzioni dell’Unione Europea. Neppure è abbastanza presente e mobilitante tra i cittadini.