• 18 Dicembre 2024 18:29

Guerra, sola igiene del mondo

DiDaniele Lugli

Mag 9, 2022
#4novembre non festa ma lutto

Mi è successo di sentire il mite, sorridente Edward Luttwak. L’ottimo Crozza ce lo ha riproposto, ma l’originale è inarrivabile: L’Europa ha avuto ottanta anni di pace, un periodo anomalo. La guerra è un’esperienza bellissima. Gli uomini amano fare la guerra. Le donne amano i guerrieri. Io di guerre ne ho fatte tre. Non solo volontario, ma risulterebbe pure comandante, con il nome di battaglia di Zadaras, della famosa “Squadriglia della morte”. Ne scrive Achille Campanile.

«Mi viene in mente» disse il capitano Zadaras, dominando con la voce il clamore confuso della fumosa bettola, «quella volta che organizzai e comandai in tempo di guerra la squadriglia della morte».
«La squadriglia della morte?» esclamai, sentendo crescere in me l’ammirazione per quel tipo di rude soldato che io avevo visto soltanto in quel locale, alle prese con bottiglie (pagate da me) ma che, stando ai suoi racconti, aveva compiuto nella propria vita imprese strabilianti.
«La squadriglia della morte» ripeté lui.
Si riempì il bicchiere, mentre io seguivo con inquietudine il progressivo abbassarsi del livello nella bottiglia e spiegò, dopo aver tracannato d’un fiato:
«Una squadriglia d’uomini decisi a tutto pur di raggiungere l’obbiettivo; d’uomini, insomma, votati alla morte. È evidente che di tali uomini non se ne trovano molti. Molti sono pronti ad affrontare il pericolo di morire, ma pochi la certezza. Cosicché la mia squadriglia era composta d’un limitato numero di eroi, ed io ne fui il capo».
Non potei reprimere un gesto d’ammirazione.
«Quale il capo, tali i gregari» mormorai.
Zadaras ebbe un piccolo gesto di modestia, riempì di nuovo il bicchiere, tracannò.
«Ora» aggiunse «si presentava un problema: se fossero morti i componenti la squadriglia della morte, come si sarebbe fatto? Ragion per cui: “State attenti,” raccomandavo ai miei uomini “evitate di esporvi ai pericoli, altrimenti qui si resta senza squadriglia della morte”. La cosa era evidente: una volta sacrificati tutti i componenti della squadriglia, dove trovare altri uomini decisi a tutto?».

Il ragionamento non faceva una grinza.

«Penai un poco» proseguì il turbolento capitano alzando la voce per dominare il tumulto delle risse che scoppiavano qua e là nel locale «a far penetrare questo concetto nelle menti dell’alto comando, ma alla fine ci riuscii. Quei generali, aderendo alle mie vedute, non tardarono a convincersi che, una volta perduti i componenti la squadriglia della morte, sarebbe stato assai difficile trovarne altri, poiché tipi decisi a tutto non s’incontrano a ogni passo. E che pertanto conveniva risparmiare i miei uomini. Penetrato questo concetto nelle menti dei generalissimi, i miei uomini furono, come suol dirsi, tenuti nella bambagia; tutte le cure furono per essi, tutte le precauzioni, per salvaguardare le loro preziose esistenze. Quando si trattava di compiere un’impresa disperata per la quale fosse necessario un gruppo di valorosi votati al sacrificio supremo, l’alto comando m’interpellava: “Mandiamo la squadriglia della morte?”. “Siete pazzi?” dicevo. “Così restiamo senza”. “È vero” dicevano i generali. “Restare senza squadriglia della morte sarebbe una grave perdita per l’esercito”».
«Lo credo bene »
«Così, dopo ponderati conciliaboli, quei generali concludevano: “Mandiamoci altri”».
«Era più che giusto» osservai.
«Certe volte» proseguì Zadaras «il comando ci telefonava la mattina, mentre eravamo ancora a letto: “C’è da compiere un’impresa in cui si lascia la pelle. Andate!”. E noi: “Bravi. E quando ci avremo lasciato la pelle, ci sapete dire chi compierà le imprese in cui si lascia la pelle?”. “Già, è vero”, ci dicevano i generali, “allora non movetevi. Riguardatevi”. In conclusione, fummo tenuti lontano da ogni pericolo, al riparo dai raffreddori, in riposo, al coperto. Precauzione necessaria, vista la difficoltà, ripeto, di sostituirci. E soltanto finita la guerra, alla squadriglia della morte fu permesso di uscire dai ricoveri ed esporsi alle intemperie».

Il capitano Zadaras vuotò ancora una volta il proprio bicchiere e concluse, con lo sguardo inseguendo lontani fantasmi: «Ah, sì, sì. Il più calmo, piacevole e riposato periodo della mia vita lo trascorsi in qualità di comandante della squadriglia della morte. E lo ricordo con profonda nostalgia».

Di Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941, Lido di Spina 2023), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà nella segreteria dal 1997 per divenirne presidente, con l’adozione del nuovo Statuto, come Associazione di promozione sociale, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali - argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni - e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948

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