• 23 Novembre 2024 10:30

I bambini in guerra hanno qualcosa da dirci

DiElena Buccoliero

Mar 28, 2024

“Viviamo nel terrore ogni giorno e il rumore più leggero ci spaventa, anche l’esplosione di un palloncino; è per via degli spari e delle esplosioni che abbiamo sentito praticamente ogni giorno. Oltre a questo, tanti dei nostri amici che sono stati costretti ad andarsene stanno lottando per trovare qualcosa da mangiare”. Lo ha detto una ragazzina di 14 anni, proveniente dal Burkina Faso, che ha partecipato alla “Conferenza internazionale sulla protezione dei bambini nei conflitti armati” convocata a Oslo, nel 2023, da Save the Children, Unicef e altre organizzazioni.

L’aspetto più interessante, infatti, è che come sempre Save the Children non si limita a parlare per conto dei più giovani, ma ne promuove la partecipazione in tutti i luoghi in cui si parla di loro, come del resto prevede al Convenzione di New York sui diritti dei bambini e degli adolescenti. Nel 2021-22 oltre 300 minorenni hanno preso parte a sessioni consultive, interviste e laboratori creativi nei quali hanno potuto esporre il loro punto di vista. Lo stesso hanno fatto, alla Conferenza di Oslo, ragazzi e ragazze che hanno vissuto tutta o gran parte della loro vita in un paese in conflitto. Provenivano da Burkina Faso, Colombia, Iraq, Mozambico, Nigeria, Niger, Territori Occupati Palestinesi, Somalia, Ucraina e Yemen.

“Quando un razzo cade dal cielo, non fa differenza tra una pietra e un albero, tra un bambino e un giovane”, hanno detto i rappresentanti del consiglio dei ragazzi palestinesi a Gaza. “Vogliamo che la comunità internazionale ci protegga e ci faccia vivere in pace. Vogliamo disegnare il nostro futuro con le nostre mani, e scrivere con le nostre mani le parole di un inno alla speranza, all’amore e all’armonia per vivere la nostra infanzia come desideriamo. Si accertino le responsabilità di coloro che commettono crimini e violazioni contro i bambini. Che il nostro motto sia la libertà e una vita dignitosa per i bambini del mondo”.

“Voglio dire ai leader mondiali che dovrebbero fare tutto ciò che è in loro potere per assicurarsi che tutti i bambini siano protetti”, ha affermato un adolescente nigeriano di 16 anni.

Un ragazzo iracheno reclama: “Voglio realizzare i miei sogni, ma ho bisogno di protezione”, mentre un quindicenne del Mozambico vorrebbe “crescere in un mondo senza discriminazioni” e un suo giovane connazionale, che con la famiglia ha lasciato la sua casa e la sua città in un percorso di migrazione interna, sottolinea: “Non c’è abbastanza cibo per tutti perché i campi sono stati distrutti e, per sfuggire ai gruppi armati, la gente ha abbandonato tutto e ha bruciato le cose. Vorrei che si costruissero tante case, in modo che tutti i bambini avessero un posto sicuro per dormire”.

La Conferenza si è basata su dati raccolti in tutto il mondo e riferiti al 2022, quando i tre paesi peggiori dove vivere, per un bambino o una bambina, erano Repubblica Democratica del Congo, Mali e Myanmar. Mi colpisce il niente che ci viene riportato dai media. Gli altri sette paesi maglia nera, in ordine alfabetico, erano Afghanistan, Burkina Faso, Nigeria, Somalia, Siria, Ucraina e Yemen. Manca all’appello la striscia di Gaza, proprio perché i dati sono di due anni fa.

Ancora qualche informazione. Nel 2022 circa 468 milioni di bambini – 1 su 6 – viveva in zona di guerra e il reclutamento di bambini soldati è aumentato del 20% rispetto al 2021, arrivando a 7.610 giovanissimi in armi. Nello stesso anno sono accertate 27.638 gravi violazioni verso bambini e bambine, ed è sicuramente una sottostima data la difficoltà di conoscere e registrare quello che accade nella distruzione.

I bambini hanno molto da dirci. Il paragrafo che lo riassume ha un titolo significativo: “Noi non abbiamo poteri magici, ma voi sì!”. Le aspettative sono rivolte ai decisori adulti, i quali purtroppo sembrano avere smarrito la formula magica per fermare le guerre.

Domande chiare e richiami all’azione sono stati indirizzati ai leader mondiali, ai governi e alle organizzazioni. Chiedono che i bambini siano protetti dalle bombe, dai missili e dalle mine, dalla violenza e dagli abusi. Vogliono sentirsi al sicuro, specialmente nelle loro case e nei luoghi in cui vivono, con le loro famiglie e i loro amici.

In sintesi, le richieste emerse dai giovani partecipanti alla Conferenza internazionale sulla protezione dei bambini nei conflitti armati sono:

  • ascoltarci, capire le nostre preoccupazioni;
  • fermare la guerra, rimuovere le mine dai campi, e fare la pace;
  • non reclutare mai i bambini nei gruppi armati e assicurarsi che i bambini abbiano un posto sicuro dove dormire;
  • fare la pace, in modo che chi ha lasciato la città o il villaggio possa ritornare a casa e tutti i bambini siano felici, possano giocare all’aperto e avere le stesse opportunità di tutti gli altri bambini del mondo;
  • assicurarsi la sicurezza e la partecipazione di ragazzi e giovani, in modo che possano esprimere la loro opinione senza vergognarsi né sentirsi in pericolo;
  • fare in modo che possiamo andare a scuola senza avere paura! E che anche i bambini con disabilità possano farlo;
  • cibo e acqua sicuri per tutti, e un mondo senza lavoro minorile, senza bullismo e con tanto amore.

 

 

Di Elena Buccoliero

Faccio parte del Movimento Nonviolento dalla fine degli anni Novanta e collaboro con la rivista Azione nonviolenta. La mia formazione sta tra la sociologia e la psicologia. Mi occupo da molti anni di bullismo scolastico, di violenza intrafamiliare e più in generale di diritti e tutela dei minori. Su questi temi svolgo attività di formazione, ricerca, divulgazione. Passione e professione sono strettamente intrecciate nell'ascoltare e raccontare storie. Sui temi che frequento maggiormente preparo racconti, fumetti o video didattici per i ragazzi, laboratori narrativi e letture teatrali per gli adulti. Ho prestato servizio come giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna dal 2008 al 2019 e come direttrice della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati dal 2014 al 2021. Svolgo una borsa di ricerca presso l’Università di Ferrara sulla storia del Movimento Nonviolento e collaboro come docente a contratto con l’Università di Parma, sulla violenza di genere e sulla gestione nonviolenta dei conflitti.