Da quando, come specie, abbiamo cominciato a voler sfruttare i nostri simili, gli altri animali, i vegetali, le risorse minerali e i combustibili fossili, abbiamo intrapreso la strada della predazione: succhiare tutto, sempre per il profitto dei pochi. Siamo arrivati a ridurre il suolo e il sottosuolo a terra di conquista, provocando depauperamento e inquinamento, andando a modificare i meccanismi di funzionamento naturali, innescando il surriscaldamento globale e le catastrofi climatiche. La salvezza è nelle terre ancora fertili, nella natura che trova le sue cure, ma anche e soprattutto nelle scelte umane compatibili con la cura della nostra casa comune (oikòs), quindi scelte ecologiche e, soprattutto, reversibili. Reversibilità significa poter tornare indietro quando una scelta si dimostra sbagliata o troppo rischiosa. La scelta del nucleare, per fare un esempio, è chiaramente irreversibile, in quanto ci lascia a convivere quasi in eterno con le sue scorie radioattive. Le scelte ecocompatibili e reversibili andranno fatte negli ambiti dell’agricoltura e dell’allevamento, ma anche sul risparmio energetico e quindi nell’ambito dell’alimentazione da un lato, in quello delle risorse energetiche dall’altro. Entrambi sono visibilmente connessi con la salute (siamo quel che mangiamo e quel che respiriamo) e con la pace (le guerre si fanno soprattutto per accaparrarsi risorse energetiche).
Così come pace non è semplicemente assenza di guerra, la salute non significa mancanza di malattie. E’ d’altra parte vero che la guerra non giova alla salute di chi muore sotto le bombe, né di chi viene stuprato, torturato, ucciso; è poi spesso seguita o accompagnata da carenze alimentari, acqua inquinata, epidemie, per non parlare dei traumi psichici e psicosomatici dei sopravvissuti e dei profughi. Allo stesso modo è inconfutabile che la malattia turbi un equilibrio, ovvero evidenzi un già presente squilibrio, scatenando un conflitto all’interno dell’organismo. Nei casi più gravi e complessi può portare anche a conflitti interiori, oltre a conflitti col mondo esterno (familiari, amici, medici, personale sanitario).
Potremmo dire che, come la salute è il risultato dell’equilibrio e del benessere psico-fisico, la pace è la conseguenza dell’equilibrio nelle relazioni, delle pari opportunità, delle pari dignità, del senso di giustizia e proporzione e, fra le nazioni, la conseguenza dell’ascolto reciproco e della cooperazione. Ricordandoci che in diverse civiltà ancestrali la malattia veniva vissuta come un “problema” dell’intera società, possiamo pensare che il “progresso” abbia classificato come inutili dettagli la vicinanza, l’amore, la solidarietà, il sostegno. Allo stesso modo potremmo dire che la durata della pace dipende dalla cura dei conflitti che attanagliano i rapporti sociali. Il conflitto è un benessere alterato, un equilibrio spostato, spesso latente, talvolta con l’insorgenza di chiari sintomi. I conflitti dovrebbero emergere ed attivare un confronto fra le parti coinvolte, alla ricerca di una soluzione condivisa. Tutti noi abbiamo avuto e abbiamo dei conflitti: interiori, familiari, di lavoro, nelle associazioni, nei movimenti. Tanti li abbiamo chiariti e superati, altri hanno portato a lacerazioni, qualcuno magari l’abbiamo solo rimandato, ma sappiamo che affrontando il conflitto in modo nonviolento si esce spesso rafforzati. Così come con una vita sana e un’aria salubre ci dovremmo tenere in salute, ugualmente dovremmo costruire la pace, da quella interiore a quella sociale, a quella con la natura, attraverso l’ascolto, l’affermazione dei bisogni, il confronto creativo. Perché la guerra è una malattia dei rapporti sociali tipica della specie umana, ma ci sono cure per prevenirla.
Prevenire la guerra significa trovare spazio per lavorare sui conflitti in cui siamo immersi. Perché è soprattutto attraverso l’educazione, formale e informale, che le nuove generazioni potranno capire l’importanza e la delicatezza della Storia che stiamo vivendo.
Carlo Bellisai 12.07 2021