di Daniele Lugli
La scorsa settimana abbiamo pubblicato la prima parte dell’articolo “I nomi della guerra”, dove Daniele Lugli intendeva la guerra come conflitto (inclusa la formula per calcolarne la convenienza), igiene del mondo (Marinetti) e Jihad o guerra santa.
La rassegna dei nomi prosegue qui, perché – come scrive Guido Ceronetti – «la guerra cambia volto e riti, e anche nome, senza cessare mai di esserci».
Questo articolo è stato pubblicato da Daniele Lugli nel gennaio 2002 sulla rivista ferrarese di Legambiente ed è poi confluito nella raccolta “Sassolini di Pollicino” (ed. La Carmelina, 2022).
La fotografia ritrae Daniele con Lucia Boni alla presentazione del libro avvenuta alla Galleria del Carbone il 9 dicembre 2022.
Male
La guerra è un male ricorrente. Potrebbe essere un cataclisma naturale, come il terremoto, una malattia della società, come il traffico stradale, un po’ le due cose, come le epidemie? Di qui lo studio per individuarne intensità, frequenza, leggi, meccanismi di produzione. Abbiamo una buona conoscenza della distribuzione della guerra nel tempo e nello spazio, della sua diversa tipologia, della sua classificazione in megamorti. Ma per ridurne i danni, se non per abolirla, occorre sapere qualcosa di più sulle cause. La guerra di volta in volta, e contemporaneamente, viene attribuita alla natura umana, all’organizzazione interna degli stati, al rapporto tra gli stati. Solo Bush ha individuato con chiarezza l’asse del male. Ma la sua diagnosi è controversa. Il problema è delegato agli esperti. Dovrebbe interessare tutti: l’umanità deve por fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità, diceva John F. Kennedy all’ONU il 25 settembre 1961, il giorno dopo la prima marcia Perugia-Assisi.
Militare
Ci sono tre tipi di intelligenza: l’intelligenza umana, l’intelligenza, animale, l’intelligenza militare, ha scritto Aldous Huxley. La tecnologia è andata oltre incorporando l’intelligenza nelle armi, nuove, sorprendenti, affascinanti. Così i militari della civiltà superiore possono starsene al riparo ed evitare la volgarità della morte. Non per viltà certo, ma perché la guerra non finisca, come succedeva un tempo, per mancanza di combattenti (Et le combat cessa, faute de combattants, El Cid, Pierre Corneille). E poi la morte è facile, non richiede addestramento né equipaggiamento specifico. La fa bene anche un civile (anche molti civili), anche un bambino (anche molti bambini). I militari hanno altro, importante, da fare. Da Talleyrand in poi si è detto La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai militari. Ora invece ai militari è delegata pure la pace, come peace keeping, making, building (peace sta bene con tutti i verbi; fate la prova: io ho verificato da abiding a writing). Più guerre ci sono più paci da kipare, meikare, bildare ci stanno.
War
La parola guerra verrebbe dal germanico werra, mischia. Ha soppiantato nelle lingue latine il bellum romano. La parola ha prevalso nelle lingue, come aveva prevalso, sui campi di battaglia, la disordinata werra dei germani sull’ordinato bellum. Non ce ne ricorderemmo neppure non fosse per qualche sostantivo e aggettivo residuo: bellico, bellicoso, belligerante, belligeranza. Giustamente la parola werra si è mantenuta pressoché inalterata nella lingua degli attuali signori mondiali della guerra. È stata invece sostituita dai più diretti discendenti di quei Germani. I tedeschi infatti dicono Krieg, come sappiamo per il classico studio di Karl von Clausevitz Vom Kriege e per il fulmineo Blitzkrieg che piegò Polonia, Fiandra, Francia. Ma non sono più loro i signori della guerra. Parola che vince non si cambia.